giovedì 26 febbraio 2009

Fermate l'Italia, voglio scendere!

Le leggi che regolamentano lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (come sono ad esempio i trasporti) sono la 146/90 e la 81/01.
Gli effetti di queste normative sono stati duplici e controversi.
Da un lato, quello che interessa i lavoratori dei settori interessati, è diventato tremendamente difficile organizzare uno sciopero.
La procedura a grandi linee prevede l'invio di una lettera all'azienda con richiesta di incontro "nell'ambito della prima fase della procedura di raffreddamento".

L'impresa ha dieci giorni di tempo per rispondere e convocare il sindacato.
Se non lo fa o se l'incontro è infruttuoso, le organizzazioni sindacali scrivono un'altra lettera, mettendo in indirizzo Prefettura e Commissione di Garanzia, attivando la "seconda fase della procedura di raffreddamento".
Entro cinque giorni saranno convocati in prefettura insieme alla società interessata dalla procedura, per un tentativo di conciliazione, che non funziona quasi mai.
Adesso si può indire lo sciopero, ma solo di quattro ore e, per ciò che concerne gli aeroporti, escludendo alcune fasce orarie di intenso traffico (dall 07:00 alle 10:00 e dalle 18: alle 21:00)

E' fatta? Macchè.
A questo punto bisogna individuare una data. Si consulta il calendario della Commissione di Garanzia sugli Scioperi e si cerca uno slot libero, che deve essere distanziato di dieci giorni tra l'astensione precedente e di dieci da quella successiva.

Risultato? Su tematiche "calde", chessò un azienda non ha pagato gli stipendi, io sciopero quattro ore, dopo 45-60 giorni. Immaginate l'efficacia dell'iniziativa...

L'effetto contraddittorio delle leggi di regolamentazione sta nel fatto che è stato indebolito il diritto costituzionale di sciopero dei lavoratori, ma non ha diminuito il numero delle astensioni programmate. E basta dare un'occhiata al calendario linkato più su per rendersene conto.

Il problema sta nel coniugare il diritto dei cittadini alla mobilità con quello dei lavoratori a scioperare, e non è di facile soluzione. Servirebbero menti illuminate, una vera, ampia discussione, il coinvolgimento di personalità del mondo politico, civile, sindacale, accademico. Un primo passo potrebbe sicuramente essere quello della legge sulla rappresantività dei sindacati nelle imprese, che limiterebbe il numero delle sigle (che lascerebbe non necessariamente campo ai soli confederali, in alcune aziende sono maggioranza gli autonomi) e di conseguenza, quello delle astensioni.

La CGIL da tempo chiede un'insieme di regole che normino la reale rappresentanza sindacale, un pò come accade nel pubblico impiego, unico settore in Italia ad averle. Perchè è vero che in alcune attività del trasporto aereo ( ad esempio per i i controllori di volo ) basta un sindacatino con dieci iscritti, ed uno sciopero organizzato bene, per metter in ginocchio tutto il trasporto aereo nazionale.

Le regole però non possono essere quello dell'accordo separato sulla riforma della contrattazione firmato da CISL, UIL e UGL il 22 gennaio 2009. A parte altri aspetti simpatici come il taglio del tasso d'inflazione nel calcolo per i rinnovi, o la possibilità per le aziende di derogare ai vincoli contrattuali, l'intesa prevede, per i servizi pubblici, che possa proclamare sciopero solo chi ha la maggioranza dei lavoratori iscritti. Ciò significa che se la CGIL avesse in un impresa il 40% di iscritti e gli altri, tutti insieme, il 30%, non potrebbe portare in sciopero i lavoratori.

A memoria vostra, quando è stato l'ultimo sciopero fatto solo dalla CISL, o dalla UIL, o da entrambe?
Viene da pensare che sia un'accordo fatto su misura per contrastare il sindacato di Epifani, che invece, in determinati momenti storici, gli scioperi da solo ha la forza, la capacità e gli strumenti per farli.

Il ddl discusso ieri ( se ne è occupato anche Ale) non è altro che la logica conseguenza dell'intesa separata firmata da governo, confindustria e organizzazioni sindacali ad eccezione della Cgil.

E' un cavallo di battaglia di Sacconi, ex-socialista che realizza un sogno da società fascista.
Volete sapere qual'è la cosa bella? Se facessimo un referendum, lo vincerebbero loro, perchè su questo tema i cittadini italiani sono sicuramente d'accordo con il governo.

Contro l'accordo separato sulla riforma della contrattazione la Cgil ha organizzato assemblee i tutti i luoghi di lavoro, un referendum e una grande manifesterazione a Roma il 4 aprile. A questo punto quella iniziativa si riempie di ulteriori valori e significati. Siamo destinati, volenti o nolenti e con tutti i nostri limiti, e le nostre contraddizioni, ad essere l'unica grande aggregazione che rappresenta il dissenso.

Almeno fino a quando non si tornerà al sindacato unico di stato...

mercoledì 25 febbraio 2009

Le foto dell'anno, 5


Categoria «Sports Action» (singole): al terzo posto il francese Franck Robichon. la sua foto realizzata per European Pressphoto Agency ritrae Alexis Copello impegnato nel salto triplo a Pechino (Franck Robichon/Epa)

Le foto dell'anno, 4


Categoria «Vita quotdiana» (Storie): primo premio a Brenda Ann Kenneally, Usa (Brenda Ann Kenneally/New York Times Magazine/Epa)

Le foto dell'anno, 3


Categoria «People in the News» (singole): al secondo posto il fotografo greco della Reuters John Kolesidis con una foto scattata il 9 dicembre durante le manifestazioni contro il governo ad Atene (John Kolesidis/Reuters)

Le foto dell'anno, 2


Categoria «General News» (singole): primo premio al brasiliano Luiz Vasconcelos (Jornal A Crítica/Zuma Press). La foto, del 10 marzo, immortala una donna che cerca di fermare l'evacuazione forzata della sua gente a Manaus (Luiz Vasconcelos/Jornal A Crítica/Zuma Press/Reuters)

Le foto dell'anno, 1


La fondazione world press photo ha premiato i migliori 24 scatti del 2008. A questo link li trovate tutti, io ne posto qualcuno (sempre grazie a Internazionale).

La foto dell’anno è quella dell’americano Anthony Suau per Time (a sinistra), che mette in luce gli effetti della crisi finanziaria: un agente investigativo si assicura che la casa che è stata pignorata sia stata effettivamente sgombrata.


martedì 24 febbraio 2009

I migliori della vita, 5


George Michael, Faith


Non fate quella faccia.

C'è stata un'epoca in cui Georgios Kyriacos Panayiotou, in arte George Michael, non aveva bisogno di farsi beccare dietro i cespugli con altri uomini per fare notizia. C'è stato un momento in cui, pensionati gli Wham!, le canzoni di questo cantante inglese di origine greca hanno cominciato ad evolversi dal poppettino da ragazzini, in qualcosa di diverso, che reinterpretava anche il soul, l'errebì e che in un paio di casi sfiorava la ballata jazz.

Faith uscì nella primavera nel 1987, anticipato dallo scandalo annunciato di brano e video di I want your sex (ah! Bei tempi quelli, quando bastava davvero poco per mandare in tilt i bigotti). Il pezzo, come sicuramente ricorderete era un'accorata richiesta del bel castano, che all'epoca non aveva ancora fatto outing, di lasciare da parte le stronzate, e beh, andare al sodo.

Con un traino così, l'album ha fatto immediatamente il botto. A mente fredda, dopo aver ascoltato le tracce contenute nel disco, posso serenamente asserire che non c'era bisogno di alcuna strategia di marketing per comprarlo, bastavano le canzoni.
Tolta I want your sex (che nella versione LP durava qualcosa come nove minuti), Faith era un compendio di potenziali singoli (e infatti ne furono estratti sei su una track list di nove ), che, sparsi a due per volta nei dischi successivi di George, gli avrebbeo assicurato gloria, successi e una luminosa carriera anche negli anni a venire.

L'album era aperto dalla title track, un gioioso pezzo che sembrava una cover dei fifties, nel quale il nostro si divertiva un mondo a giocare all'Elvis Presley. Il ritornello "causa i gotta have faith", che veniva cantato in una frazione di tempo nel quale la musica si fermava, mi mandava in estasi.

A seguire, subito una delle perle del disco, Father figure, love song dal testo originale, sospesa tra gospel e soul e dall'inciso irresistibile.

Chiude la facciata il lentaccio One more try, fenomenale strappamutande.

Il lato B parte con il ritmo di Hard day; Hand to mouth (pezzo minore che ancora oggi è tra i miei preferiti) e Monkey. Il mood si fa suadente con la conclusiva Kissing a fool, che mette in luce le abilità da crooner dell'ex Wham! e che viene ancora oggi coverizzato da artisti senza arte ne parte, come i vari Bublè.

Finiti i bagordi di questo disco, purtroppo il bel George avrebbe dissipato il suo talento, tra casini personali e dischi senza ispirazione. Un colpo di reni con l'ottimo Older, nel 96 e poi il nulla. Paranoie, infelicità, foto sui tabloid dove appare sempre come un cervo che esce dal bosco e viene catturato dai fari di un pick-up, e tanta nostalgia dei bei tempi, al punto di far girare insistentemente da qualcuno la voce di una reunion con il socio della prima ora Andrew Ridgeley.

Ci sono dei pezzi nella mia collezione, nella mia formazione musicale, che considero scheletri nell'armadio, e che un pò mi vergognerò a tirare fuori. Non oggi. Nel caso di Faith è opportuno andare oltre le apparenze, lasciarsi andare. Per citare George Michael stesso, to listen withou prejudice.


lunedì 23 febbraio 2009

Scommesse perse

Assegnati gli Oscar

Miglior film, The millionaire

Miglior attrice, Kate Winslet (The reader)

Miglior attore, Sean Penn (Milk)

Con la presunzione di chi non ha visto nessuno dei film in concorso, e pur ammirando in maniera sconfinata Sean Penn (ovviamente non solo per la sua bravura da attore), avevo scommesso avesse vinto questo ex sex symbol qui,
straordinario all american hero .

Sunday records

Come tradizione ormai consolidata, la domenica è giorno di ricerche e acquisizioni musicali. Ieri bottino grosso, con il recupero di titoli che cercavo da tempo e l'archiviazione di album messi gentilmente a disposizione dagli amici. La lista:


U2, Wide awake in America
Jesca Hoop, Kismet
Glasvegas, omonimo
The Killers, Day and age
Jonathan Byrd, The law and the lonesome
Ron Franklin, City lights
Dan Auerbach, keep it hid

Spero di avere il tempo di dare a tutti almeno una chance come si deve...

venerdì 20 febbraio 2009

From the heart



Le Heart sono state un gruppo che wikipedia definisce folk/rock, ma che il grande pubblico ricorda come protagonista di un ottimo AOR.
La band ha esordito nel 1976, e tra alti e bassi ha pubblicato l'ultimo album nel 2004.
Il nucleo centrale del gruppo, unica costante tra decine di cambi di formazione, sono le sorelle Ann e Nancy Wilson, anche autrici di quasi tutti i brani della band.

Qualcuno si è preso la briga di contare trenta milioni di dischi venduti da parte delle Heart, nel corso della loro carriera.
I loro album di maggior successo sono stati Bebe le strange (1980) ; Heart (1985); Bad animals (1987) e Brigade (1990).
I brani più famosi, contenuti tra l'altro nella raccolta These dreams che sto ascoltando in questi giorni sono il potentissimo anthem Barracuda, la power ballad All i wanna do is make love to you, l'eccellente HR di If looks could kill, la semi acustica Crazy on you e l'emozionante Magic man.
Consiglio anche l'energico album live Rock the house!

Da riscoprire.


giovedì 19 febbraio 2009

Una sentenza già scritta

Della rivista Internazionale mi piace leggere sopratutto gli articoli che i reporter stranieri scrivono sul nostro bel paese. Hanno un punto di vista privilegiato e una "distanza" dai fatti che gli conferisce spesso una migliore lucidità d'analisi.
Un paio di numeri fa il settimanale ha ospitato un'inchiesta di Miguel Mora del quotidiano spagnolo El Pais. L'oggetto del lungo articolo era la condanna a tre anni e otto mesi di carcere per la giovane rom che nel maggio 2008, a Ponticelli, era stata arrestata per aver tentato di "rubare" una neonata, all'interno di un'abitazione (ne avevo già parlato qui).

Mora riporta a galla tutti i dubbi e le incertezze sulla ricostruzione dei fatti che hanno portato al quasi linciaggio della ragazza, aggiungendo altri spunti di riflessione, che rivelano pesantissimi intrecci tra politica, camorra e affari in quella zona.
La dinamica del presunto rapimento presenta molti dubbi. Dopo i primi strilli dei media, si è chiarito che non esiste un solo testimone oculare, l'unica che sostiene la tesi del rapimento è la madre della neonata, figlia di un collaboratore dei Sarno, clan camorristico locale, già arrestato per associazione a delinquere e noto per l'abilità ad aggiudicarsi appalti pubblici.

Già nei giorni precedenti al presunto rapimento, il clima intorno al campo nomadi di Ponticelli si era fatto caldo (l'amico Vittorio sul suo
blog aveva postato un volantino del PD locale che sembrava scritto da Borghezio), e si era già verificato qualche attacco alle baracche del campo.
Gli zingari che vivevano lì, tra l'altro, pagavano l'affitto alla camorra per stare tranquilli.

Dopo il rapimento, "la popolazione" ebbe una reazione di una violenza indicibile. Le immagini del rogo del campo nomadi hanno fatto il giro del mondo, in molti paesi hanno parlato di vero e proprio pogrom. E nessuno è stato arrestato per quelle violenze.

Prima di quei fatti di maggio, a febbraio 2008, la giunta comunale aveva deliberato, nell'ambito del piano di recupero urbano di Ponticelli, la costruzione di un progetto faraonico di 85mila mq chiamato Palaponticelli, comprendente una sala concerti, un centro commerciale con tremila posti auto e una piazza.
Costo previsto 200 milioni di euro. Andrea Santoro, consigliere locale di AN, nel denunciare pubblicamente il progetto lo definì "una delle più grosse speculazioni edilizie e commerciali che abbia mai colpito Napoli".
Gli ideatori di questi progetto avevano però due problemi: il terreno era occupato da Nomadi stanziali e i lavori, per non perdere i contributi ministeriali, dovevano partire entro agosto 2008.
A maggio 2008 in quarantott' ore ogni cosa è andata "spontaneamente" a posto. E il giorno stesso in cui la giovane nomade è stata arrestata, sono cominciati i sopralluoghi tecnici per la costruzione del Palaponticelli.

L'autore del servizio, che nell'articolo cita spesso tra le sue fonti la stampa locale e Marco Immarisio del Corriere dellea Sera, approfondisce anche la storia processuale della ragazzina rom, alla quale le udienze non sono nemmeno state tradotte nella sua lingua, e descrive bene il contesto sociale nel quale si è svolta tutta la vicenda. Il titolo dell'articolo è: Una sentenza già scritta.

martedì 17 febbraio 2009

Biutiful cauntri



Siamo l'unico paese al mondo in cui si condannano gli esecutori e non i mandanti, grazie a leggi approvate dai mandanti stessi.
Che comunque, è giusto ricordarlo, stravincono ogni tipo di tornata elettorale ( anche per manifesta inferiorità degli avversari) sentendosi autorizzati a reiterare ogni nefandezza.
Altro caso unico al mondo, il mandante è contemporaneamente coimputato per corruzione al processo e parte lesa come ruolo istituzionale, e quindi risarcito dai giudici con 250mila euro.

Siamo anche unici al mondo per gli effetti di questa paradossale condanna. Il giorno dopo la sentenza, invece di essere passare un brutto quarto d'ora il coimputato di corruzione, nonchè presidente del consiglio, a dimettersi è il leader del partito d'opposizione.
Grazie a questo tempismo pauroso, la notizia della condanna scivola in basso anche nelle testate che l'avrebbero pubblicata a nove colonne, dopo gli stupri e Sanremo.

Bisogna arrendersi all'evidenza,siamo un paese meraviglioso.

MFT, febbraio 2009


ALBUM

Guns n' Roses, Chinese democracy
Hank III, Damn right rebel proud
Nada, Live Stazione Birra
Ministri, Tempi bui
Nickelback, Dark horse
Estere, Strega
Franz Ferdinad, Tonight: FF
U2, The joushua tree: live in Paris
U2, Live at Red Rocks: Under a blood red sky
Chopin, Nocturnes
Bruce Springsteen, Working on a dream
Derek Trucks Band, Already free
Luca Carboni, Musiche ribelli
Wavves, omonimo

LIBRI

De Lillo, Underworld

VISIONI

Dexter, seconda stagione

Ritornano sempre


Era solo questione di tempo. Perche a Clemente, da buon democristiano, di stare fuori dal mazzo di carte troppo a lungo non riesce davvero. E così ecco che torna. Il suo ultimo atto politico era stato far cadere il governo Prodi. Viene premiato con un bel seggio sicuro alle Europee.

Nel PDL, naturalmente.

venerdì 13 febbraio 2009

Nuova autoradio

Finalmente torno a rispettare il codice della strada e a sollazzarmi senza ritegno...

Aggiormanento

Una preview ragionata dell'imminente MFT di febbraio:

Nada, Live Stazione birra



Mi sono appassionato da tempo alla seconda (o è la terza?) vita artistica della Nada. Se devo fare mente locale sui primi ricordi che ho di lei, credo che risalgano a quando da bambino andavo al mare, e all'ora della merenda, mentre coi cugini addentavamo pane e nutella ( scalzi, e con le mani ancora sporche di sabbia) qualcuno infilava le cento lire nel juke box, selezionando Amore Disperato . Non è che mi piacesse particolarmente quel pezzo, diciamo che era contestualizzato in un momento felice, e quindi è rimasto registrato nei ricordi.
Dal 1999 la Nada ha cominciato a fare canzoni diverse, testi sensuali, suoni da rock band, produzioni eleganti ( una mano nel 2004 gliel'ha data anche Jonn Parish). Non si trattasse della Nada, qualcuno direbbe musica d'autore o indie.
In questo disco catturato dal vivo la sua produzione più recente fa la sua porca figura , ma traggono benefici dal tiro asciutto di basso/chitarra/batteria anche i suoi classici di una vita (la mia e la sua) fa. Due gli inediti, ad aprire e chiudere l'album. Guardami negli occhi; L'amore è fortissimo e Chiedimi quello che vuoi sono irresistibili. Ma è tutto l'insieme a funzionare, nonostante qualche incertezza nella voce.

The Derek Trucks Band, Already Free


Derek Trucks è nipote del batterista storico degli Allman Brothers Band e marito della blues singer Susan Tedeschi. Lo dico così, tanto per mostrare i documenti. Already Free è un affascinate disco di blues, elettrico ed acustico, ispirato, e cazzo, suonato in modo quasi commovente. I riferimenti vanno ai maestri Allman Brothers, ai Gov't mule più concreti, qualcuno mi suggerisce Ben Harper, ma io sono poco convinto. Sweet inspiration potrebbe stare dentro 461 Ocean Boulevard di Clapton, e nessuno farebbe caso all'intrusione. Musica per organi caldi.

U2 Live in Paris, The Joushua Tree Tour e Live at Red Bank, Under a blood red sky full version

Considero le ristampe con bonus tracks spesso insignificanti e inutili, bieche operazioni commerciali, atte solo a far acquistare due o tre volte lo stesso disco ai fan della band di turno. Con gli U2 la Island non si è fatta mancare niente, bonus cd, dvd, cofanetti... L'unica ristampa che poteva avere un senso e che aspettavo con una certa impazienza, era quella della versione completa dell'ottimo EP Under a blood red sky, che era estratto da uno show in America ai tempi di War, e che era stato anche filmato. Lo stesso dicasi per il cd live del concerto che la band tenne a Parigi per il Joushua Tree Tour, nell'87. E qui sta la lungimiranza dei manageroni delle major, entrambi sono stati pubblicati solo in dvd! Per fortuna esitono al mondo (e nel web) anime pie che li rippano e li fanno girare. Due dischi emozionanti (per scaletta e interpretazioni), che non fanno che accrescere la malinconia rispetto alle ultime uscite di Bono e soci.

BRUCE SPRINGSTEEN, Working on a dream

Meglio di Magic. E poi cazzo volete, al cuor non si comanda...


mercoledì 11 febbraio 2009

Lo strano caso di P. e F.

Per un curioso caso del destino due delle mie nipoti femmine sono nate a distanza di circa trenta chilometri, lo stesso giorno, mese ed anno di undici inverni fa, una da mia sorella e l'altra da mia cognata.
P., mia nipote di sangue, è secondogenita, F., la nipote acquisita è figlia unica.

Non ho mai avuto e non ho tuttora un bel rapporto con mia sorella, ma devo riconoscerle una dedizione e una cura maniacale nella crescita della prole. Con il marito dedica alle figlie un mare di tempo di qualità, ascolta, educa, è sempre presente.
P. passa molto tempo a leggere, non segue le baby- mode, è vivace e attenta e ha una curiosità innata propria dei bambini che stanno crescendo.

F. è una figlia del consumismo. E' abituata ad avere tutto se non subito, presto. In quinta elementare già si veste come una Bratz (e mi fermo qui), chiede vestiti e scarpe di marca, possiete un cellulare (non uno qualunque, quello col brand di Mtv, credo che venga attorno ai 300 euro), l'I-pod, il game boy Nintendo di ultima generazione e la macchina digitale di proprietà.
Passa le cene della domenica, in cui ci ritroviamo sempre tutti, sdraiata sul divano con le cuffiette a smanettare tutto il tempo il telefonino o il game boy o l'I-pod, che gli fanno da baby sitter. Non sa giocare con gli altri e pianta delle litigate ignobili per delle sciocchezze.

E' incredibile come due esseri nati con pari possibilità e condizioni simili si siano evoluti in modi così diversi che nemmeno un ruandese ed uno svizzero.

Essere genitore è una cosa strana, sei portato a giudicare, spesso in modo negativo, la pagliuzza dell'educazione dei figli altrui, e spesso non vedi la trave nell'occhio che hai in casa, riguardo a come stai tirando su i tuoi.
Non passa giorno in cui non mi chieda se sto facendo bene con Stefano, e accidenti, finora una risposta confortante non è ancora arrivata.

domenica 8 febbraio 2009

Sotto la pelle


Isserley si aggira per le fredde periferie scozzesi, guida una vecchia automobile affidabile, ma rumorosa. Carica autostoppisti. Lo fa con metodo, scegliendo solo maschi forti e fisicamente prestanti. Isserley non è bella. Porta occhiali spessi, ha un fisico un pò bizzarro, quasi grottesco. E' minuta e ha mani grandi, sembra tutt'uno con la macchina. Il suo pezzo forte sono i seni, che infatti mette sempre in mostra, ogni volta che, timidamente, in modo giovale o con protervia, un uomo entra nella sua Toyota.
Ovviamente Isserley nasconde un tremendo segreto che i malcapitati scoprono quando è davvero troppo tardi .

Capita a volte che di essere coinvolti nella lettura di un libro, scritto indubbiamente bene, e di rimanere però con un pugno di mosche in mano, una volta giunti all'ultima pagina.
E' questo il caso, per me, di Sotto la pelle di Michel Faber.
Sembra che lo scrittore, attraverso una metafora fantascientifica, voglia farci riflettere sul senso della vita, sul consumismo, sull'ambientalismo, sulla deriva della nostra società, sulla felicità.

Le sofferenze di Isserley non potrebbero essere più distanti dalle nostre, eppure le sentiamo vicine. La sua inadeguatezza di fronte ai suoi simili è qualcosa che senza alcun dubbio in molti di noi hanno provato, in determinate fasi della propria esistenza.
Siamo empatici con questa bizzarra anti eroina, anche di fronte alla sua indifferenza, al suo cinismo nei riguardi delle sue prede, alla sua tormentata risolutezza.

Ma tutti questi spunti (troppi?) restano sospesi, si perdono in mille rivoli, non trovano soluzione, girano alla larga, non affrontano, non risolvono, lasciano troppa carta bianca al lettore.
Il finale poi è davvero brutto. Quasi dilettantesco.
E un pò dispiace.

venerdì 6 febbraio 2009

Oh mercy

Sul "Caso Eluana" il Governo è arrivato all'indicibile atto di arroganza di preparare d'urgenza un apposito decreto Legge che impedisca al padre di fare ciò che la giustizia civile gli ha invece riconosciuto. La situazione è talmente aberrante da far parlare un uomo forte e dignitoso come Beppino Englaro di una "violenza inaudita" ai danni della figlia.

Non c'è niente di peggio dell'ipocrisia che permea un preseunto cattolico, quando si ricorda di applicare i dogmi della fede solo alle situazioni altrui.
Siamo guidati da un branco di divorziati e fedigrafi che sentono la voce di Dio per compiere atti incivili e in sfregio al diritto, com'è l'accanimento contro un uomo dalla dignità infinita che vuole porre fine a quasi vent'anni di non-vita della figlia.

Ma guardate, si può anche non essere d'accordo con la decisione di Beppino Englaro, non è questo il punto. Capita con una certa frequenza, anche per lavoro, di non essere d'accordo con determinate sentenze, ma di doverle rispettare, perchè per i cittadini comuni le sentenze sono legge.
Per loro no. Loro sono al di sopra. Possono minacciare, intimidire, corrompere. E se non funziona possono sempre fare un decreto Legge.

Ma provate a pensare alla situzione opposta. Nel caso cioè che vari pronunciamenti dei giudici fossere stati contrari al desiderio della famiglia Englaro, impedendogli di porre fine all'alimentazione forzata della figlia.
In quel caso i nostri beneamati Sacconi e Berlusconi avrebbe fatto applicare in pieno le sentenze, allargando le braccia e chiudendo la vicenda.

Non ne sono orgoglioso, vista la mia storia personale fatta di appartenenza ad un movimento politico che aveva storia e ideali, ma mi rendo conto di appartenere sempre più, solo al partito dell'anti Silvio.
Una persona abituata ad addomsticare da sempre, con tutti i mezzi, regole e leggi a suo favore, non potrà mai essere un uomo di stato. E lui non perde occasione per ribadirlo.

mercoledì 4 febbraio 2009

C(L)ASH on death penalty


Le canzoni su ladri, assassini e pena di morte, le cosiddette murder songs, sono ormai un genere a se stante. Normalmente vengono interpretate dagli artisti in qualche modo collocati a sinistra, mi vengono in mente i nomi di De Andrè in Italia e di Bruce, di Earle, di Cave all’estero.
Johnny Cash è una fragorosa eccezione a questa regola, lui Repubblicano convinto, ha interpretato (e a volte scritto) murder songs a pacchi, dai traditional a inediti, a brani scritti direttamente da detenuti.
D’altro canto è uno che ha ottenuto il primo successo cantando: “I shot a man in Reno/ Just to watch him die”.

Tutti riconoscono al man in black un approccio non filosofico, ma molto concreto, ai problemi di chi ha “superato la linea” .
Insomma, la feccia della popolazione americana, costretta tra quattro mura, si è spesso identificata con lui, che tra l'altro è stato per un periodo anche loro compagno di cella.


Tra le sue varie canzoni dedicate all’argomento, una delle mie predilette è senz'altro 25 minutes to go ( interpretata anche dai Pearl Jam nell’acustico Benaroya Hall del 2005).
Suggerisco l'ascolto della versione registrata in studio (seppure quelle suonata dal vivo a Folsom e San Quintino, davanti ad una folla di detenuti in estasi siano eccellenti), perchè si può apprezzare al massimo la forza interpretativa di Cash, che trasmette tutta la vana speranza, la disperazione e l’orgoglio di un ragazzo condannato all’impiccagione, nella sua ultima mezzora (25 minuti, per la precisione) di vita su questa terra.
So che normalmente risulta noioso leggere i testi delle canzoni, ma spero facciate un’eccezione per questo breve capolavoro di musica popolare.

25 minutes to go (di Shel Silverstein)


Well they're building a gallows outside my cell
I've got 25 minutes to go
And the whole town's waitin' just to hear me yell
I've got 24 minutes to go
Well they gave me some beans for my last meal
I've got 23 minutes to go
But nobody asked me how I feel
I've got 22 minutes to go
Well I sent for the governor and the whole dern bunch
with 21 minutes to go
And I sent for the mayor but he's out to lunch
I've got 20 more minutes to go
Then the sheriff said boy I gonna watch you die
got 19 minutes to go
So I laughed in his face and I spit in his eye
got 18 minutes to go
Now hear comes the preacher for to save my soul
with 13 minutes to go
And he's talking bout' burnin' but I'm so cold
I've 12 more minutes to go
Now they're testin' the trap and it chills my spine
11 more minutes to go
And the trap and the rope aw they work just fine
got 10 more minutes to go
Well I'm waitin' on the pardon that'll set me free
with 9 more minutes to go
But this is for real so forget about me
got 8 more minutes to go
With my feet on the trap and my head on the noose
got 5 more minutes to go
Won't somebody come and cut me loose
with 4 more minutes to go
I can see the mountains I can see the skies
with 3 more minutes to go
And it's to dern pretty for a man that don't wanna die
2 more minutes to goI can see the buzzards I can hear the crows
1 more minute to goAnd now I'm swingin' and here I go-o-o-o-o-o-o-o-o-o!

lunedì 2 febbraio 2009

Steve says


Lo sapete come chiama Stefano il film qui a fianco? Un Topolino SOTTOSCRITTO. So che dovrei correggerlo, ma mi spiegate come faccio, se ogni volta mi piego in due dal ridere?

domenica 1 febbraio 2009

Sometimes truth speaks from a peaceful place

La seconda serie di Dexter (sono arrivato al settimo episodio) è fin qui, piuttosto deludente. Sarà che la prima era tratta da un romanzo, ed aveva una sua coerenza, una sua forza. A voler andare oltre il genere noir, ci si potevano leggere diverse metafore su quello che siamo e ciò che invece vogliamo apparire agli altri.
In questa seconda stagione invece, mi sembra tutto troppo prevedibile, infilato in tutti i clichè dei telefilm seriali americani.

Morgan da apatico ed emotivamente impermeabile, diventa quasi espansivo e si fa addirittura l'amante, l'ottimo personaggio Doekes viene fatto sbarellare, viene inserita persino una suocera (indovina un pò?) rompiballe, insomma, il meglio del meglio di quanto già stravisto in televisione.
Si salva da questo piattume generale Lundy, agente FBI.
Colto, intelligente e preparato, sui sessant'anni. Dotato di grande fiuto, ma capace anche di gesti fuori dai normali comportamenti della società comune. E' un riflessivo, ma sa essere risoluto ed imprevedibile.

E' dalla sua bocca che esce la splendida battuta: "Sometimes truth speaks from a peaceful place", che viene pronunciata mentre ascolta il monumentale A kind of blue di Miles Davis e osserva le foto delle vittime (di Dexter?) emerse dalle profondità degli abissi.
Nella stessa scena Lundy chiede a Deb (sorella di Dexter) se per caso abbia mai ascoltato Chopin. Lei risponde di no, e lui dice: "peccato. Chopin è perfetto".

Deb allora si infila le cuffie dell'I-pod e si mette ad ascoltare i Notturni. Ne rimane sconvolta, lascia il suo ragazzo temporaneo e capisce di provare qualcosa per Lundy. Torna in ufficio, comincia a parlare a manetta all'agente dell'FBI, lui la ferma e le chiede : "Ma...Hai ascoltato Chopin?"
Lei: "Si"
Lui: "Cosa di preciso?"
Lei : " I notturni"
Lui: "Ecco perchè sei così agitata, Chopin fa questo effetto, rimuove la polvere."


E' abbastanza vero. Provate anche voi l'effetto che fa.