lunedì 19 ottobre 2009

Lucerna, Tennesse / parte uno di due

Premetto che, in considerazione del genere musicale suonato (il country, princialmente), ho sempre pensato che non sarei mai riuscito a vedere Hank 3 in concerto sui palchi nostrani. Per questo, quando mi è stato segnalato il suo lungo tour europeo, non ho avuto la minima esitazione e ho subito fatto due conti per individuare la location più vicina. La scelta è presto caduta sulla svizzera, città di Lucerna, a soli 300 km di distanza da casa.
Tra l'altro, in maniera del tutto inedita rispetto al passato, per quest' impresa sono stato coadiuvato dalla mia famiglia al completo.

Forse può apparire un pò egoista trascinarsi dietro tutti per una finalità esclusivamente personale di cui agli altri non importa un fico secco, ma devo dire che la famiglia, o perlomeno quella parte di famiglia con cui medio le decisioni, ha accettato con favore la proposta di una gita di due giorni nel cuore della svizzera tedesca, nonostante il tempo incerto e la mia assenza programmata per la prima serata di permanenza (venerdì 4 settembre, la sera del concerto).

Si decide all'unanimità di pagare i 29€ di bollo autostradale elvetico invece di fare le strade statali, un po’ per comodità, un po’ per fare prima. Dopo una breve sosta per il pranzo a Lugano ci mettiamo in marcia con destinazione Lucerna. Ci aspetta una coda mostruosa al passo del San Gottardo, dopo la quale in poco tempo arriviamo a destinazione.

Lucerna è una cittadina veramente gradevole, una volta si sarebbe usato l’aggettivo pittoresca. E’ anche accogliente, certo a patto di limitarsi a respirare e non spingersi a comprare nemmeno una bottiglietta d’acqua da mezzo litro, perché in quel caso risulterebbe subito evidente la ragione per cui in giro ci sono quasi esclusivamente auto da trentamila euro in su.

Il tempo è coperto ma per fortuna piove a scrosci solo in un paio di occasioni, per il resto c’è una temperatura sferzante che non dispiace affatto. Lucidiamo un po’ la macchina fotografica sul ponte di legno adornato di fiori sopra il fiume Reuss e durante la passeggiata,vista l’ora, cominciamo un po’ a guardare i menù dei ristoranti . Alla fine ne scegliamo uno che propone cucina tradizionale e ci accomodiamo all’interno (con sommo dispiacere, perché la posizione all’esterno, sotto ai portici lungo il lago era meravigliosa, ma resa impraticabile dal clima, che da sferzante era diventato molto meno romanticamente umido e freddo).

Qualche zuppa bollente dopo ci sentiamo tutti meglio, attacco un wurstel con patate e salsa di cipolle, innaffiato con birra bianca, e mi sento improvvisamente davvero un po’ egoista per aver “imposto” questa trasferta alla famiglia solo per assecondare un mio desiderio adolescenziale. Però li vedo tranquilli e soddisfatti e un po’ mi rinfranco.

Resto con loro il più possibile, cioè fino alle otto e mezza (il concerto è previsto per le nove), dopodichè prendo un taxi (una delle rarissime volte nella mia vita) e in pochi minuti sono allo Schuur. Il posto è appena fuori il centro, in una zona industriale (una zona industriale sfizzera, neh. Dimenticate le nostre, tutte decadenza e sporcizia ). Mostro al muscoloso buttafuori la ricevuta del ticket stampata dal web, qualche secondo di apprensione prima di avere l’ok, e poi finalmente è fatta. Mi marchiano il polso con quei fichissimi timbri visibili solo al neon e finalmente entro, caricato a molla.

Dentro mi arrivano almeno tre sottofondi musicali diversi, tutti a palla. Dopo una veloce perlustrazione scopro che lo Schuur ha tre sale, due a piano terra (una di queste è in stile saloon, guarda un po’!) e una, quella dei concerti, al piano superiore. Mi reco subito al tavolo del merchandising per fare incetta di ciddì di Hank, ma mi dicono che non ne hanno nemmanco uno perché “costava troppo portarli dagli USA”. Mi sembra una cazzata clamorosa e un autogol da pivelli, ma mi rassegno. Salgo le scale convinto di dover attendere ancora per vedere l’open act di Bob Wayne, e invece lo trovo già lì che se la canta. E anche da un bel pezzo, probabilmente, visto che dopo un paio di pezzi saluta tutti e se ne va. Non è certo la fine del mondo, ma un po’ mi spiace.

Sono le otto e quaranta, mi guardo intorno, per studiare la flora locale. Ci sono metallari, rockabilly agghindati come se fossimo nel fottuto 1956, tipi con basettoni cosmici sopra caps da camionisti texani, nerds, e gente comune. Sento parlare in tedesco, francese e italiano, la cosa mi sorprende un po’, fino a quando realizzo dove sono. In questo luogo, entro pochi chilometri convivono infatti almeno tre lingue.
Il posto è un buco, sembrerebbe una ex-fabbrica, con tanto di tubature e strutture metalliche a vista. Un’occhiata sul palco, noto che sotto la batteria è attaccata con il nastro adesivo un grande cartoncino circolare che riporta, numerati, una lista di brani in sequenza. Sembrerebbe la scaletta della serata, messa lì in favore di pubblico e non, come consuetudine, attaccata alle assi dello stage. Non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere, diamine il segreto della setlist per gli spettatori è sacro! Fotografo ma non leggo. Così, per sicurezza.



In bella vista, ai piedi della batteria, c’è anche un’orologio digitale. E’ per questo che posso dire, con precisione tutta elvetica, che alle 20.57, in leggero anticipo sull’orario di inizio previsto, Hank Williams Terzo e The Damn Band salgono sul palco.

Di persona, e a pochi metri di distanza (stazionerò per tutto lo show tra la terza e la quinta fila centrale), il nipote del più leggendario cantante country di sempre spicca in tutta la sua magrezza e i suoi tratti spigolosi che lo fanno somigliare in qualche modo allo Zanardi di Pazienza.

La formazione della Damn Band è composta da sei elementi, oltre ad Hank prendono posto contrabbasso, violino, slide guitar (suonata su piano orizzontale), banjio e batteria.

Noto che sia il contrabbasso che la Guild di Williams hanno la cassa armonica sigillata. Il contrabbasso con del nastro isolante nero, la chitarra addirittura con un foglio di compensato posto all’interno dello strumento. Immagino che serva ad avere un suono più secco e meno armonioso, ma attendo conferme magari dai musicisti lettori del blog.


La band prende posto, Hank saluta e attacca Straight to hell. Ecco che improvvisamente si cancellano stanchezza, sensi di colpa e menate per i soldi spesi. La musica, sempre più di rado per la verità, è ancora in grado di prenderti ed elevarti ad un punto di fanciullesca gioia ed eccitazione. Canti come se da quello dipendesse la tua vita, sai che non può esserci niente che possa andare storto in quel momento. L’acustica tra l’altro è ottima, la voce si sente benissimo, così come tutti gli strumenti (fatta eccezione forse per il violino quando il sound è pieno). Eh sì, fare il controcanto su Straight to hell (HELL! – HELL!) insieme ad un gruppetto di esagitati agghindati in modo discutibile non ha davvero prezzo.




to be continued...

3 commenti:

lafolle ha detto...

le acustiche si tappano per evitare feedback!!

monty ha detto...

grazie della delucidazione livio.

resta il fatto che la sua è
proprio sigillata!

NKNav ha detto...

Che concertone che mi devo essere perso!