giovedì 29 marzo 2012

Catalogami questo! / 29

Le influenze tra metal e musica tradizionale sono l'argomento odierno.


1) Il folk metal è un sottogenere dell'heavy metal che incorpora elementi di musica folk. Le band di questa frangia includono nella loro musica temi riferiti a letteratura, tradizioni e leggende tipiche della nazione da cui provengono, assieme alle musiche folkloristiche della loro terra. Sono definiti i creatori del folk metal i britannici Skyclad. Questa band, attiva sin dagli inizi degli anni novanta sperimenta nuovi strumenti come il violino come accompagnamento alla loro musica, aggiungendo tematiche come la storia in generale, la politica e i problemi sociali. In altre nazioni (in Germania ad esempio) sono sorti gruppi che ricorrono a tematiche prettamente medievali come In Extremo, Subway to Sally e Tanzwut. In Irlanda, gruppi come Cruachan e Primordial narrano le varie leggende tipiche della loro terra (come le fate celtiche e i Leprechaun). I Cruachan, ad esempio, usano strumenti tradizionali come il Tin Whistle, il flauto irlandese, il Bódhran, strumento a percussione fatto con pelle di capra o il Bouzouki (originalmente chitarra greca, adottata in seguito in Irlanda e Scozia. In Spagna gruppi come Ars amandi e Mägo de Oz presentano anche loro liriche di storia e folklore (i secondi incisero un album, La Leyenda de la Mancha, incentrato sul personaggio di Don Chisciotte della Mancia).

2) Il celtic metal, nato in Irlanda a partire dal 1990, ha un ruolo importante nel panorama underground del metal irlandese: pionieri come Cruachan e Waylander (che si sono affermati a metà degli anni novanta) si esibiscono comunemente insieme ad altre gruppi di estrazione differente. Uno degli album seminali del genere è senz'altro Tuatha Na Gael dei Cruachan, stampato da una piccola etichetta in discografica in poche migliaia di copie e andato esaurito in pochissimi mesi. L'album è stato poi ristampato dalla audioglobe e rappresenta una vera e propria commistione fra musica folcloristica e death/black metal.

3) L'Oriental metal (da alcuni definito anche middle-eastern metal ) nasce in Israele dove, metal band locali, iniziano a scrivere brani ispirati alla tradizione Ebraica ed alle tragedie Bibliche. Le contaminazioni, però, non si fermano alle liriche e alle tematiche trattate, ma permeano anche il sound generale di questi gruppi, che fondono le sonorità degli antichi strumenti folcloristici con lenti riff di chitarra death metal/doom metaldando vita ad atmosfere dal sapore apocalittico. Alcune band sono arrivate a trasporre gli antichi salmi e preghiere ebraiche in pezzi death metal. I gruppi più famosi sono i Salem e gli Orphaned Land, entrambi israeliani.

4) Il medieval rock (o medieval folk rock) è un genere musicale che combina la musica rock (in particolare folk rock e gothic rock) con reminiscenze e temi tipici della musica medievale e più in generale della musica antica, sviluppatosi particolarmente in Germania (dove il genere, molto conosciuto, viene chiamato Mittelalter-Rock) e in Inghilterra negli anni settanta e affermatosi poi negli anni novanta.In particolare ci si riferisce con il termine medieval metal a quel tipo di medieval rock più orientato verso l'hard rock e l'heavy metal.Gli strumenti usati sono quelli tipici del rock, quindi chitarra elettrica, basso, batteria, e sintetizzatore, combinati con vari strumenti tradizionali e/o ispirati al Medioevo, come la cornamusa, la ciaramella, la tromba marina, la ghironda, l'arpa, il liuto, e la chiarina.Tra gli ispiratori del genere si possono annoverare gli Ougenweide, gruppo rock progressivo tedesco attivo negli anni settanta, prima band in Germania a sperimentare le sonorità medievali. Successivamente, dopo che i Subway to Sally divennero famosi con il loro stile non convenzionale di folk metal, varie band seguirono la loro scia: la più famosa è probabilmente quella degli In Extremo, tuttora in attività, che fonde al suono delle chitarre elettriche quello di cornamuse, arpe, e altri strumenti medievali, utilizzando inoltre spesso testi d'epoca.



5) Il latin metal è un sottogenere della musica heavy metal, nato nei primi anni novanta tra il sud della Florida, la California, e l'America Latina, con origini, influenze, e strumentazioni tipiche della musica latina.è basato principalmente su riff e ritmiche molto vicine al nu metal, caratterizzato dalla costante presenza di percussioni tribali latinoamericane che trovano ampio spazio nei brani, fondendosi a pieno con la batteria e dando vita ad una miscela ritmica aggressiva e incalzante sulla base del ritmo della salsa. I testi sono generalmente in spagnolo, ma anche in inglese o in spanglish, e trattano per lo più temi sociali di ingiustizia, disuguaglianza e protesta. I tempi lenti e pari si alternano improvvisamente a scariche di blast beat e doppia cassa. Altra caratteristica spesso ricorrente sono gli inframezzi di assoli di chitarra flamenco.

wikipedia


martedì 27 marzo 2012

MFT, marzo 2012

LA MUSICA - in fissa con Il Teatro degli Orrori, Il nuovo mondo. Bruce Springsteen, Wrecking ball. Fine Before You Came, Ormai.

A ruota Artisti Vari: Chimes of freedom, The songs of Bob Dylan. Big Country, The Ultimate Collection. Offlaga Disco Pax, Gioco di società. Blind Guardian, Memories of a time to come. Calibro 35, Ogni riferimento a persone esistite o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Lucero, Women & work. Pilgrim, Misery wizard. PJ Harvey, Rid of me. Shellac, At action park. The Excitements, omonimo. Paul Simon, So beautiful so what.

IL LIBRO: Carlo Bonini, A.C.A.B.

LA SERIE TV - la dipendenza: The Wire, stagione due
Ma anche Il trono di spade e The Walking Dead, stagione due

lunedì 26 marzo 2012

Squali da acquario

Litfiba
Grande nazione
(Sony) 2012





"E adesso?" Deve aver chiesto il Piero nazionale al ritrovato amico Ghigo, dopo il tour che la scorsa estate ha sancito il ritorno dei Litfiba registrando un'ottima accoglienza di pubblico. E adesso sotto con un nuovo prodotto del brand, il nono dei toxic twins italiani dopo una pausa durata tredici anni. L'ampio spazio dato nelle esibizioni live a brani del periodo new wave della band fiorentina aveva anche illuso più d'un fan della prima ora su un ritorno a quel tipo di sonorità da parte del gruppo, la triste realtà è invece che il duo, per il suo comeback, ha optato per il più (remunerativamente) sicuro sound alla Terremoto (1993).
L'orientamento è chiarissimo già dall'opener Fiesta tosta, mentre la seguente e primo singolo Squalo tenta un pò di replicare lo schema lirico di El diablo con risultati però abbastanza deludenti. Lo stesso si può dire per la title-track o per Tutti buoni, elementare denuncia contro la casta politica, scritta in stampatello ("tutti bravi / tutti buoni / ma solo in tempo di elezioni") e molto scontata. Da tutto questo smarmellamento di italico hard-rock emerge forse la sola Brado.

Se c'è del buono in Grande nazione, è da ricercare quando la band mette da parte i riffoni o il singalong da palazzetto e rallenta l'incedere. In questo senso si fanno apprezzare Elettrica, Luna Dark e Tra te e me, mentre la bonus track Dimmi dei nazi, dedicata alla Pivano, è lì a dimostrare che tutto sommato ci vorrebbe poco per riuscire ad emozionare ancora.



6/10

sabato 24 marzo 2012

Album o' the week / AAVV, Nativity in black - Tributo ai Black Sabbath Vol I,II,III (1994, 2000, 2007)




Resto sui Black Sabbath, giacchè non ho ancora smaltito la delusione per l'annullamento del comeback tour. Parliamo però di una serie di album di tributo, operazione che ha avuto il suo momento di gloria tra la fine degli ottanta e i novanta, e che ha sfornato tanti prodotti buoni più per le gambe del tavolo che ballano o come sottobicchieri che per far conoscere la musica degli artisti presi in considerazione. Tra i meglio riusciti a mio avviso, il Red hot + blue su Cole porter, l'imperdibile A vision shared dalle canzoni di Leadbelly e Woodie Guthrie e, perlappunto, Nativity in Black ad onorare la band di Iommi e Ozzy.


Questa opera ha visto la pubblicazione di addirittura tre volumi, dal 1994 al 2007, con la partecipazione del meglio in campo heavy metal. Tra gli altri Sepultura(Symptom of the universe), Faih No More (War pigs), Cathedral (Solitude), Megadeth (Paranoid e Never say die), Type O' Negative (Black Sabbath), Corrosion of Conformity (Lord of this world), Machine Head (Hole in the sky), Pantera (Electric funeral e Hole in the sky),Slayer (Hand of doom), System of a Down (Snowblind) , Soundgarden (Into the void), White Zombie (Children of the grave), Anthrax (Sabbath bloody sabbath) e lo stesso Ozzy Osbourne con Therapy? e Primus "di spalla"(N.I.B. e Iron man). Tutti a confrontarsi con pezzi noti e gemme nascoste del combo probabilmente più influente di sempre in ambito heavy.


Tre titoli estrememante consigliati.


giovedì 22 marzo 2012

No more Sabbath

Adesso la notizia è ufficiale, niente tour per i Black Sabbath. Vabè.



I riuniti Black Sabbath , che a fine 2011 hanno annunciato la pubblicazione di un nuovo album dopo 33 anni e un tour mondiale , sono stati costretti a cambiare i piani a causa delle condizioni di salute del chitarrista Tony Iommi, impegnato a combattere un linfoma che gli è stato diagnosticato a dicembre del 2011. Tony purtroppo non potrà andare in tour e a lui vanno tutta la nostra solidarietà e il nostro affetto con un augurio di pronta guarigione.

In segno di rispetto verso l’amico, Ozzy Osbourne e Geezer Butler hanno deciso comunque di onorare gli impegni presi e si esibiranno come headliner in tutti i festival europei in cui sono schedulati sotto il monicker Ozzy & Friends, ovvero il Madman, insieme a Geezer Butler, oltre a una serie di chitarristi ospiti speciali, tra cui, già confermati Slash e Zakk Wylde. Altri nomi verranno resi noti a breve. Il set comprenderà ovviamente i grandi classici dei Sabbath oltre alle maggiori hit del periodo solista di Ozzy.

mercoledì 21 marzo 2012

One more cup of coffee



La passione per le mug (le tazzone da caffè) me l'ha senza dubbio trasmessa l'overdose di produzioni televisive e cinematografiche americane. Ore e ore di pellicole nelle quali i protagonisti s'ingollavano tonnelate di caffeina manco fosse acqua di sorgente. C'era e c'è sempre un bollitore da caffè a portata di mano nei film ammerigani, ovunque si svolgesse l'azione: in ufficio, alla pompa di benzina, in casa o per strada.
Negli anni ho raccolto una discreta collezione di mug, poi ho dovuto sacrificarne una parte al dio trasloco e al passaggio della condizione da single (non si butta niente) a coppia (cos'è tutta sta roba???). Le mie preferite però, quelle sì sono sopravvissute: i soggetti vanno dal kistch delle città visitate, ai cartoni (South Park rules!), al tour di The Rising di Bruce, a quella della Guinness. Ne ho persino una con il disegno di una lampadina che si accende quando la tazza è piena di acqua bollente (grazie ad una piccola resistenza interna, suppongo). Quella in foto è l'ultimo arrivo, ed attualmente la mia più preferita. Come potete ammirare riproduce vecchie copertine di albi Marvel ed è colma di tea e non di caffè, che sennò mi duole lo stomaco. Mica sò americano, io.

lunedì 19 marzo 2012

Talkin' about Il mondo nuovo

Il Teatro degli Orrori
Il mondo nuovo
(La Tempesta) 2012
















Anonimo- Allora, l'hai ascoltato “Il mondo nuovo”?
Io all'inizio sono rimasta un po' delusa, manca un po' lo stile teatrale di Capovilla, quegli scoppi improvvisi ai quali eravamo abituati con gli album precedenti...Non so, come quando dice “Maestro?! Maestro! Si accomodi, la prego, possiamo incominciare...” in Dell'impero delle tenebre e anche la musica è meno schizofrenica che in precedenza. Però devo dire che dopo qualche ascolto ti prende...

Monty: Mah, forse ci riponevo troppe aspettative e quando è così ci rimani sempre un po’ male. Inizio dirompente, ma mi dici a che serve una Io cerco te, quando hai già scritto Due?
Nel complesso oscilla tra intuizioni significative e banalità un po’ sconcertanti (Gli Stati Uniti d’Africa potrebbe averla scritta un quindicenne). Il problema penso sia l’egocentrismo di Capovilla, straripante come sempre ma stavolta non “bilanciato”, lasciato troppo a briglie sciolte. Poi ad un certo punto il disco diventa proprio peso, arrivare alla traccia numero sedici è un’impresa…

Anonimo- Mah, a me non sembra che Io cerco te abbia qualcosa a che fare con Due, credo che parlino di due cose diverse. Le banalità ci sono sempre state anche nei dischi precedenti, anche se forse qui un paio di volte si esagera. Io ho trovato che tutta la faccenda del Parla con gli angeli in Pablo sia piuttosto stucchevole, fa molto New Age, anche se ammetto che non è colpa del Capovilla, è un eccesso di esposizione degli ultimi anni della parola “angelo”.
A parte questo e se vogliamo Doris, che però ha del buono pure quella, non c'è niente che non va. Semplicemente è un disco diverso: Capovilla canta molto di più e non recita, e poi lo scopo del disco è diverso, questo è un concept, si vuole parlare degli immigrati stranieri in Italia (soprattutto, ma non solo).
E poi scusa, che mi dici di Cuore d'Oceano? Non è bellisssima? E Dimmi Addio e Vivere e morire a Treviso?

Monty: Puoi vedere la cosa sotto due aspetti. Il primo è ascoltare il disco è valutarne le canzoni. L’altro è cercare di capire dove la band, al terzo disco, volesse andare a parare. A mio avviso musicalmente è in una sorta di limbo tra sonorità consolidate (la prima cinquina di pezzi) e momenti maggiormente rarefatti. La mia valutazione nel complesso è che si tratti di un prodotto meno riuscito dei due precedenti, molto ambizioso, ricco di urgenza comunicativa che diventa però anche il suo limite, perché denota la difficoltà della band a decidere cosa tenere cosa eliminare dalla tracklist definitiva. Le canzoni di valore non mancano, è vero, non sono insensibile al valore di pezzi come Rivendico, Non vedo l’ora, Cleveland – Baghdad, Monica, Nicolaj,Scopje, Dimmi addio e Cuore d'oceano, ma il grosso limite a mio avviso è quello della tenuta complessiva del progetto, personalmente non riesco mai ad ascoltarlo dall’inizio alla fine, mi sfianca. Se l’opera fosse rimasta nei limiti dell’ora di musica (3-4 pezzi sacrificabili oggettivamente ci sono, dai) ne avrebbe sicuramente guadagnato.

Anonimo: Sai cosa mi ricorda questo disco? Apocalypse Now: parte in tromba con tutto il muscolo e arriva al culmine degli elicotteri che sorvolano e distruggono il villaggio vietnamita al suono della Cavalcata delle valchirie. E questa è la prima parte del disco. Ma il vero delirio inizia dopo che la barca passa sotto il ponte dell'ultimo punto di rifornimento tenuto dagli americani, quello dove il surfista si cala l'acido e non si sa chi comandi. Da lì tutto si sforma, si dilata e si comprime diventando assurdo, sfociando nella surreale cena a casa dei francesi in Cambogia e finalmente nell'incontro con Kurtz. E' estenuante anche per chi se l'è visto decine di volte, ma senza questa parte la prima non avrebbe senso. Così mi sembra per questo disco, che parte come dici tu con suoni consolidati e pian piano scivola in qualcosa di sempre più allucinato, fino a sfociare nella rarefatta Vivere e morire a Treviso.
Trovo che dopo A sangue freddo fare un disco così poco facile sia frutto di una volontà, non di un caso d'indecisione e mancanza di direzione. Pensa a quando Capovilla e Favero hanno rifondato i One Dimensional Man al culmine delle lodi per il lavoro precedente, non ce n'era bisogno, eppure... Forse dovresti cercare di viverlo più fisicamente, dirti “Ok, sfasciami” e resistere per tutte le 16 canzoni... Ma per curiosità, che brani elimineresti?

Monty: è molto suggestiva la metafora cinematografica che fai, citando Apocalypse Now. Curiosamente ne avevo visualizzata una anch’io, per il brano Monica che inizia raccontando una storia e a metà cambia radicalmente. Mi ha fatto pensare ai lavori di Lynch, tipo Mullholland drive o Strade perdute, dove ad un certo punto cambia narrazione e personaggi e tu non ci capisci più nulla ma rimani affascinato.
Sulla tenuta del disco non è tanto un discorso soggettivo. Le strutture dei brani, i passaggi declamati, quelli un po’ sarcastici fatti con l’effetto tipo voce filtrata dal megafono alla lunga sono oggettivamente pesi. Che tracceCorsivo avrei sacrificato? Mah, butto lì Io cerco te (non è che sia brutta ma a mio avviso 1) è slegata dal resto 2) è irritante la cosa su Roma, anche se si riferisse al progetto di Alemanno Roma Capitale e non alla città vera e propria resta una provocazione fastidiosa, una cosa messa lì apposta per suscitare clamore nei media e in rete. Serviva proprio? ). Taglierei anche Gli Stati Uniti d’Africa. Scolastica a partire dal testo fino ai cori tribali, restando sull’argomento, che straordinario impatto drammatico aveva invece il brano su Ken Saro Wiwa?!?
Poi Ion, Pablo e probabilmente anche Doris. Ecco, con un minutaggio di una ventina di minuti in meno, pur non avvicinandosi al livello di A sangue freddo, diventerebbe un bel dischetto, qui invece ci fermiamo ad un 6,5 al massimo un 7- .

Anonimo: Cattivissimoooo! Anche una mia amica ha osservato quella cosa su “Roma Capitale”, ma mi sorprende che conoscendo il tipo non sia stato chiaro quello che -secondo me- voleva dire, cioè che i politicanti lo hanno, ci hanno, ormai disgustati totalmente. Roma è solo simbolo di questa decadenza, ovviamente non in senso leghista (anzi, i leghisti la disprezzano tanto a parole, ma poi sono sempre lì a munger soldi). Non vedo il clamore onestamente né mi pare un granchè come provocazione...insomma, ne ho sentite ben di peggio dalla bocca del Capovilla. Comunque hai ragione che è slegata dal contesto del disco e forse se ne poteva fare a meno.
Anche a livello di testi credo che l'idea del concept album abbia pilotato un po' lo stile: gli album precedenti erano a tema libero, questo no, voleva essere una specie di raccolta di biografie, quindi il registro era totalmente diverso. Noi ascoltatori -e i musicisti stessi- siamo più distaccati, facciamo fatica ad identificarci con questi personaggi che conosciamo da fuori. E' anche normale. E' forse il vero limite dell'album. Però a me Gli Stati Uniti d'Africa piace, lo so che magari non sarà la canzone più furba del mondo ma vorrei anche sottolineare che Capovilla è proprio così, grandi voli lirici e cadute nella banalità. Credo che entrambe le cose facciano parte del suo stile poetico. Però tu sei troppo negativo. Dimmi cosa ti piace di quest'album...

Monty: No, non sono cattivo, il disco lo apprezzo. Sono esigente con un gruppo la cui rigorosa etica serve al panorama musicale italiano come l’ossigeno. Sono da apprezzare per il tema affrontato nel concept, per averlo fatto in maniera ruvida e per non aver addolcito per nulla il loro stile allo scopo aprirsi al mainstream; ciò non toglie che il risultato sia discontinuo e non sempre all’altezza delle aspettative (o almeno alle mie). Sulla frase che tira in ballo Roma resto della mia opinione, cioè che è una furbata. Chi ascolta casualmente il pezzo non sa nulla dei TdO e della loro filosofia, questo crea un tam tam polemico che comunque fa pubblicità al disco. Che qualcuno possa pensare a simpatie leghiste, quando il pezzo è racchiuso in un progetto sui migranti è un paradosso insopportabile. Ok, voto finale 6.8.

Anonimo: Sai che non amo i voti, quindi mi astengo. Sono d'accordo che quest'album non ha l'impatto dei precedenti, ma potrebbe essere uno di quelli che migliorano col tempo o ti convincono definitivamente di essere inferiori...A me piace, stiamo a vedere com'è il concerto...Mi aspetto uno sfracello! Ci vediamo là.

sabato 17 marzo 2012

Album o' the week / Big Country / The crossing (1983)




A trent'anni dalla sua uscita e a dieci dalla morte di Stuart Adamson, è stata in questi giorni pubblicata un edizione speciale, in doppio cd, del magnifico esordio dei Big Country, l'album che per molti è il migliore della band. E' questa la fucina che ha forgiato il sound del combo, batteria asciutta, chitarra-cornamusa, liriche che raccontano storie epicamente quotidiane.Tracce quali In a big country, Chance, 1000 Stars, Lost patrol, Fields of fire assemblano insieme un suono immaginifico, pittorico, una suggestione senza fine.

giovedì 15 marzo 2012

Catalogami questo! / 28

Il ragtime (talvolta scritto rag-time) è un genere musicale, nato come musica da ballo nei quartieri a luci rosse di alcune città statunitensi (Saint Louis e New Orleans). Raggiunse la massima notorietà tra la fine del XIX secolo e i primi due decenni del XX. Suonata prevalentemente al piano, talvolta accompagnato da orchestra, era caratterizzata da un ritmo binario sincopato, che ha contribuito alla formazione del jazz. La parola ragtime, in inglese, significa "tempo stracciato", "a brandelli".

I tratti fondamentali di questo genere musicale si possono schemattizzare in due punti: - il ragtime è praticato soprattutto da musicisti mulatti, una élite rispetto ai neri. Il ragtime, perciò, nasce come musica d'autore, scritta generalmente per pianoforte; - il ragtime è una musica da ballo che si ispira alle polke, alle mazurche, alle marce popolari di origine europea. Si basa però su un elemento tipicamente africano, cioè sulla contrapposizione tra due ritmi diversi, uno regolare e ossessivo (generalmente tipico della mano sinistra nelle composizioni ragtime per piano), l'altro vario e sincopato (eseguito invece con la mano destra). Diffusosi dalla seconda metà dell'Ottocento presso i neri della zona sud-occidentale degli Stati Uniti, era suonato inizialmente dalle cosiddette jug band, con strumenti casalinghi come l'asse da lavare e altri strumenti di cucina; nel banjo trovò il suo principale protagonista, e più tardi cominciarono ad emergere per esso anche pianoforte e chitarra.

la scheda di wikipedia

martedì 13 marzo 2012

Way down in the hole. The Wire stagione 1



La migliore serie poliziesca mai trasmessa in televisione. Così è considerata da molti la saga (cinque stagioni, dal 2002 al 2008) di The Wire. Nonostante questo, dalle nostre parti il serial ha faticato a trovare una consona programmazione televisiva, e nella sua completezza, è stato trasmesso solo dalle tv a pagamento. Da fan dei polizieschi di qualità quale sono, seppur distratto nel tempo da altre produzioni americane, non mi sono mai dimenticato che prima o poi dovevo recuperare questa, e alla fine quel momento è giunto.

The Wire (inteso come "l'intercettazione") è ambientato a Baltimora, nel Maryland. La città, nonostante non sia esattamente la location più abusata dalle fiction poliziesche non si fa mancare nemmeno uno dei vizi delle metropoli americane più mediatiche. Droga, corruzione, malaffare, povertà, degrado e sopratutto omicidi (le statistiche reali indicano Baltimora come il luogo con più delitti in USA, dopo Detroit) regnano incontrastati in questa città attestata al di sotto dei settecentomila abitanti.


Protagonista della storia una squadra speciale di poliziotti assemblata pescando tra le diverse sezioni di polizia: scarti umani, detective di valore, gente che mena e raccomandati, tutti agli ordini del tenente Cedric Daniels (l'ormai noto Lance Reddick). Tra di loro spicca Jimmy McNalty (Dominic West, che come primo impatto non ha tanto il faccia del ruolo, così belloccio e da soap) uno, per descriverlo come fa un suo diretto superiore, talmente egocentrico e presuntuoso da essere "drogato di se stesso". Nel mirino una vasta organizzazione criminale dedita allo spaccio e collateralmente alla corruzione e all'omicidio, di base alle case popolari di Baltimora.

Pur cadendo in più di un luogo comune sugli sbirri americani, la serie si differenzia dalla media per un ottimo lavoro di scrittura, che la permea di realismo sopratutto per ciò che concerne gli aspetti "politici" della vicenda, mostrando la pochezza morale di giudici, politici e alti funzionari di polizia esclusivamente preoccupati della carriera e di ingraziarsi i propri ,superiori, che si affannano a cercare di evitare di pestare merde durante il percorso di ascesa, e pazienza se spesso questo porta su strade divergenti rispetto a quella del perseguire i reati.



La serie parte molto lentamente, poi dal sesto episodio entra nel vivo e concilia qualità e tensione, sempre privilegiando il racconto e la parte strategica a all'azione. La bravura degli autori riesce a condensare in pochi fotogrammi le contraddizioni dei giovani soldati dell'impero della droga (ragazzini che in alcuni casi accudiscono altri bambini abbandonati dai genitori tossici); il razzismo e il sessismo presenti in polizia; la disperata solitudine degli sbirri (il divorziato McNalty che, ubriaco perso, cerca di montare nella sua nuova casa lettini Ikea per i figli). Straordinariamente ben assortite anche la gallerie di facce e personaggi che popolano la storia. Solo per citarne qualcuno, D'Angelo e Avon Barksdale (Larry Gillard jr e Wood Harris), Stringer (Idris Elba), Omar (Michael K. Williams), Kima Greggs (Sonja Sohn), tutti i ragazzini delle case popolari. Visi intensi a rappresentare ruoli spesso tormentati, quasi shakspeariani.


Dall'episodio sette poi un tuffo al cuore, comincia infatti ad apparire in brevi camei Steve Earle, che in quel periodo aveva appena sfornato Jerusalem, forse il suo lavoro più completo. Il singer del Tennesse ha la parte (che più autobiografica non si può) di un ex-tossicodipendente che dopo aver perso tutto si è ripulito e tiene discorsi nelle terapie di gruppo per drogati. Un'emozione vera vederlo al massimo della sua imponente fisicità, coi capelli lunghi, la barba scura e i tatuaggi sui bicipiti gonfi, raccontare di quella volta, quando ha venduto la chitarra per comprare la droga.



La conclusione della prima stagione è coerente con lo stile dell'opera. Non ci sono vinti e vincitori, ma solo un'enorme mediazione politica che lascia in pratica le cose come stanno. A perderci, non suonasse eccessivamente retorico, è ancora una volta la città, la comunità, la giustizia. E con esse i veri sconfitti sono, da una parte quelli che hanno tentato di scardinare il collegamenti tra crimine e politica, e dall'altra i più deboli, quelli dilaniati dai dubbi e dai rimorsi. Per loro sì, non c'è scampo.



P.S. Way down in the hole è il brano sui titoli di testa. Sappiamo che il pezzo è di Tom Waits e che avrà un'interprete differente per ciascuna delle cinque stagioni. Nella prima ad eseguirlo i Blind Boys of Alabama.

lunedì 12 marzo 2012

Come le canzoni tristi quando fuori piove

Fine Before You Came
Ormai

(La Tempesta; Triste; in download gratuito)
2012













Succede che, ad un primo impatto, la musica dei FBYC risulti piuttosto ripetitiva e il cantato monotono, poco comprensibile, a tratti fastidioso. Un istante dopo succede però anche che, inspiegabilmente, ti ritrovi queste canzoni intrappolate nella rete dei pensieri, con un irrefrenabile bisogno di riascoltarle.
Nonostante i Fine Before You Came siano per me una scoperta, giungono in realtà al quinto album, secondo in italiano dopo gli esordi in inglese. Il genere che propongono mi è abbastanza estraneo, siamo dalle parti dell'emo-core o del post-hardcore. Etichette a parte (importanti fino a un certo punto), la struttura dei brani del gruppo milanese prevede in sintesi un tappeto strumentale fatto di arpeggi di elettrica veloci e distorti, una batteria / metronomo, basso di contorno e voce che è equalizzata indicativamente allo stesso livello degli strumenti. La struttura dei testi non prevede la classica dinamica strofa/ritornello, ma piuttosto una composizione libera (più attinente alla forma poetica) che si esalta su alcuni passaggi che diventano irresistibili slogan esistenziali.
Che sia proprio quello della particolarità dei testi l'elemento vincente della band (Jacopo Lietti alla voce; Marco Monaci e Mauro Marchini alle chitarre; Filippo Rieder alla batteria e Marco Oliviero al basso), è molto verosimile, se dopo pochi ascolti ti ritrovi quasi inconsapevolmente a cantare (urlare sarebbe più appropriato) "non mi piace Dublinooohhhh" (Dublino) oppure "diiihh questo piccolo paeseehhh conosco solo questa stradaaahhh" (Paese) o ancora "come le canzoni tristi quando fuori piooveee" (Sasso). L'ascendente per il sing-along è la chiave che ti permette di entrare nel mondo dei FBYC, nella loro poetica quotidiana, che può apparire adolescenziale o scolastica, ma che, nei brani citati, in Magone e in La domenica c'è il mercato, è dannatamente incisiva.

7.5/10


P.S. Così come tutta la discografia dei Fine Before You Came, anche Ormai è in free download, lo trovate qui.

sabato 10 marzo 2012

Album o' the week / Supergrass, I should coco (1995)



Non ci si crede che il debutto dei Supergrass si stia avviando ai vent'anni di stagionatura. Sembra ieri che il mondo si accorgeva di questi impertinenti ragazzi inglesi che usavano lo slang cockney per il titolo del loro debutto (che sta per I should think so). In una contaminazione di stili che copriva la decade tra la fine dei sessanta e quella dei settanta, la band faceva le sue brillanti reverenze al mod e al punk, ai Kinks e ai Jam. Buona parte dei pezzi più noti della band, che pubblicherà altri sei album, sono qui dentro. Alright, Lenny, Lose it, Caught by the fuzz. Ah! Beata gioventù!

giovedì 8 marzo 2012

Catalogami questo! / 27

Il termine emo (o emo-core) si riferisce ad un genere musicale inizialmente compreso all'interno del punk rock, ed è perciò considerato un suo sottogenere. Tuttavia, nella sua evoluzione più moderna, il genere include anche sonorità di tipo melodico orientate all'indie rock e all'alternative rock.

Di fondamentale importanza per la genesi dello stile furono gli Hüsker Dü con il loro album Zen Arcade, pubblicato nel 1984 e i Naked Raygun con Throb Throb nel 1985. Questi lavori, sebbene siano comunque per la gran parte etichettabili come hardcore punk, furono infatti diversi dal sound hardcore più grezzo e violento visto sino ad allora, e contenevano una maggiore attenzione sia ai testi che alla tecnica musicale, influenzando moltissimo la scena musicale di Washington D.C., tanto che fu proprio in questa zona che venne usato per la prima volta il termine emoper definire band in sostanza sempre hardcore ma con sonorità più melodiche e ricche. I nomi più significativi sono Rites of Spring, Embrace (il gruppo di Ian MacKaye precedentemente leader dei Minor Threat che dopo fonderà insieme al cantante dei Rites of Spring i Fugazi, band anch'essa di grande importanza per l'emo nel finire degli anni ottanta), One Last Wish, Gray Matter, Fire Party e leggermente dopo Moss Icon e i The Hated. La prima ondata emo iniziò a scemare con lo scioglimento nei primi anni novanta di molte delle band citate.

A metà anni novanta, il termine emo iniziò ad essere usato per indicare la scena musicale indie influenzata appunto dai Fugazi con sonorità quindi marcatamente pop punk e indie rock. Gruppi come Sunny Day Real Estate e Texas Is the Reason interpretarono il lato più emo dell'indie rock, un lato più melodico e meno caotico del suo predecessore. La scena "indie-emo" sopravvisse fino alla fine degli anni novanta, quando molte band appartenenti ad essa si sciolsero o indirizzarono la propria musica verso territori più mainstream.

Come fecero le ultime band indie-emo, anche le nuove leve strizzarono l'occhio al mainstream, creando uno stile musicale che ha introdotto il termine emo nella cultura popolare. Se in passato il termine emo era usato per descrivere una grande varietà di band, ai giorni nostri il termine ha assunto un significato ancora più ampio, non necessariamente indicativo di un preciso genere musicale.


I gruppi di riferimento del movimento emo possono essere indicativamente suddivisi in tre ondate. La prima (emotional hardcore), dal 1985 al 1994, con band quali Fugazi, Embrace, Rites of spring, Heroin e 1.6 Band. La seconda (1994/2000) Sunny day real estate, Sparta, Elliott e la terza (dal 2000 ai giorni nostri) 30 seconds to mars, My chemical romance, Paramore, Taking back sunday.


L'ampia scheda di wikipedia

martedì 6 marzo 2012

Hank III a Torino

Hank III suonerà per la prima volta in Italia! Sul sito della Barley Arts ho trovato questo stringato comunicato: Arriva, per la prima volta in Italia, il vero “cowpunk man”: Shelton Hank Williams III, alias Hank III.
Il concerto, che si terrà a Collegno (TO) per il Colonia Sonora il 30 giugno 2012, sarà un vero e proprio excursus musicale della carriera di questo grande artista, pioniere di un genere unico come il cow-punk-rock americano. Lo spettacolo che Hank III proporrà al pubblico italiano sarà suddiviso in tre diversi set, “HellBilly”, “Attention Deficit Domination” e “3 Bar Ranch”, per una durata complessiva di tre ore.

Dettagli del concerto:

HANK III


I° Set – HellBilly
II° Set – Attention Deficit Domination
III° Set – 3 Bar Ranch


Sabato 30 giugno 2012
Collegno (TO), presso la Colonia Sonora
Ingresso: 20 euro (Posto Unico)
Non sono previsti gruppi di supporto. Hank III sarà protagonista dell’intero concerto.
Pertanto è consigliata la puntualità del pubblico.
I biglietti per il concerto, organizzato da Barley Arts, saranno in vendita sul sito Ticketone.it e nei punti vendita connessi.

Chissà che accoglienza troverà dalle nostre parti, data l'italica abitudine ad essere musicalmente settoriali. Temo i metallari che fischieranno il set country o i cauboi che contesteranno quelli metal. Tanti auguri, Hank.

lunedì 5 marzo 2012

Honesty


















Bruce Springsteen
Wrecking Ball
(Columbia, 2012)

Ciascun fan di Bruce Springsteen ha avuto il suo momento, definitivo o provvisorio, nel quale ha smesso di seguire il Boss. Quando ho iniziato ad appassionarmi alla sua musica molti seguaci della prima ora (gente che per intenderci si era spinta fino a Zurigo per vederlo, nella tappa più vicina del tour di The River) avevano abbandonato l’artista considerando un tradimento la svolta di Born in the USA. Altri hanno detto basta dopo il primo scioglimento della E Street della fine ottanta e le releases di Human Touch e Lucky Town, e via dicendo. Alla fine anche il mio momento di dire basta è arrivato, anche se è storia recentissima. Ha a che fare con le ultime pubblicazioni (Magic e Working on a dream), che suonano per la prima volta insincere e manieristiche, ed ha a che fare con l’intestardirsi a portare in giro quel che rimane della E Street Band, quasi fossero dei freak di fiera di paese: “gente venite a vedere il quadruplo mento di Little Steven!”. Ha a che fare con l’idea che mi ero fatto della vecchiaia di Bruce, lontana dagli stadi e dal clamore, a strimpellare folk. Ha infine a che vedere con la fortissima sensazione che l’uomo da sempre ammirato per la sua sincerità artistica avesse iniziato a fare il furbetto.

Questa disillusione è stata facilmente alimentata dall’ascolto di We take care of our own, preview del nuovo album Wrecking Ball, degna prosecuzione del sound tronfio e posticcio degli ultimissimi anni, ma, e qui sta il colpo di scena, è stata inaspettatamente messa alle corde dal resto dell’album, che si presenta, a tutti gli effetti, quale anello mancante del dopo Seeger Session.

Skippata la traccia uno (la già citata We take care of our own), si fa sul serio: Easy money e Shacked down riconciliano all’istante con l’arte di Bruce, nella loro ariosità filosofeggiano con il soul, con il gospel. Gli arrangiamenti sono finalmente coerenti, la voce di Springsteen potente senza artifizi. Persistono i fastidiosi la la la da stadio, ma almeno qui trovano un minimo di senso. Jack of all trades, a livello di interpretazione e testo è veramente un tuffo al cuore degno dei suoi illustri pronipoti discografici. Death of my hometown invece, dopo tanto trastullarsi con la musica irlandese composta da altri, rappresenta il raggiungimento del proprio celtico cumshot, un pezzo trascinante che potrebbene starsene bello comodo tra le composizioni più rispettose della tradizione dei Black 47.
Complessivamente sembra di sentire la roba più eterogenea di Ry Cooder, dalle parti di How can a poor man stand such times and live (non a caso coverizzata dal Boss nella rielaborazione delle canzoni di Pete Seeger), folk delle origini e soul che fanno un threesome col rock and roll. Nel contesto generale aiuta, e spero di non sembrare cinico, il non dover infilare a forza il solo di sax di Big Man, da tempo corpo estraneo al progetto musicale springsteeniano, che si sposa invece felicemente con un’ampia sezione di fiati e di coriste.

Benché abbastanza inquadrate nello stile classico del songwriting dell’autore di Born to run, non stonano nemmeno i lenti This depression e il midtempo folk You’ve got it, mentre accarezza delicatamente lo spirito il soul di Rocky ground (che infrange un altro tabù, quello del primo inserto rap in una canzone di Springsteen).
Nel caso qualcuno si fosse preoccupato lo tranquillizzo immediatamente, l'epica da stadio è presente anche in questo album, e trova la propria apoteosi in Wreckin ball (brano già donato all’ultimo Record Store Day), accattivante già nell'attacco, e nella versione in studio dell’ormai classicissimo Land of hope and dreams, che negli ultimi quindici anni di tour si porta via buona parte della conclusione dei concerti. Operazione doverosa, visto il ruolo che nel brano aveva Clarence Clemons, anche se personalmente non ho mai amato troppo questa canzone.
Il disco si chiude con un curioso country western tex mex tra Morricone e Ring of fire di Johnny Cash che gioca in maniera convincente sul contrasto musica spensierata / testo esistenziale.

Insomma Bruce stavolta è tornato sul serio. Senza inventarsi nulla di nuovo, di eclatante o di sconvolgente, ma riappropirandosi di un canone musicale tradizionale che gli appartiene nel profondo e mettendolo al servizio di testi, sinceri, amari e disincantati. In fin dei conti non è questo che da sempre pretendiamo da lui?


7 / 10

sabato 3 marzo 2012

Album o' the week / Queen, Rock Montreal (2007)



Testimonianza del tour del 1981 che simbolicamente chiudeva un'era per la band. Successivamente sarebbero arrivate le derive discomusic di Hot Space e pop di The works. Qui invece era ancora forte la componente hard rock nello stile del gruppo, sebbene i due dischi che precedettero il tour (Jazz e The game) cominciassero ad accarezzare stili più commerciali. Tralasciando i soliti luoghi comuni su pregi e limiti dei Queen, un disco palpitante e divertente.

venerdì 2 marzo 2012

Supersize him



Prima o poi Jack Black dovrà prendere atto del fatto che persino John Belushi, al quale il nostro chiaramente si ispira, ad un certo punto della sua purtroppo breve carriera ha cominciato ad accettare ruoli diversi da quelli quelli interpretati in Animal House o The Blues Brothers che l'hanno reso un'icona.
Perchè pur essendo di una simpatia travolgente, Black insiste in maniera fastidiosa su questo personaggio di eterno adolescente infarcito di pop culture (rock and roll, cinema mainstream, fumetti) reiterato in ogni sua pellicola, e questo è diventato un perimetro che dovrebbe cominciare ad andargli stretto, con o senza il conforto degli incassi.
E' talmente esile lo spunto che tiene insieme Gli straordinari viaggi di Gulliver che anche la durata è al limite del minimo sindacale dell'ora e mezza.
Poi. Ci sono i robot, tutto un mondo di miniuomini (e di giganti), i personaggi sono colorati e nettamente distinti tra buoni e cattivi e chiaramente Stefano si è divertito, però, e anche questo è un segnale indicativo, non ha manifestato interesse a rivederlo.

giovedì 1 marzo 2012

Lucio Dalla, 1943/2012

Lucio Dalla ha fatto parte per un buon periodo della mia formazione musicale (avevo scritto di lui qui e qui ). Per qualcosa di più di una decina d'anni, indicativamente fine settanta inizio novanta, per una manciata di album (Banana Republic, Dalla, 1983, Viaggi Organizzati, DallAmeriCaruso, Dalla/Morandi, Cambio, Amen) la sua musica ha rappresentato qualcosa di significativo che ancora mi porto dietro e che ciclicamente riaffiora. Come dico nel primo dei post sopra linkati, ultimamente era davvero triste vederlo partecipare ad ogni nefandezza pur di restare visibile, ma ciò non toglie tristezza per la sua improvvisa scomparsa. Vabè.