venerdì 28 settembre 2012

MFT, settembre 2012


MUSICA

Bob Dylan, Tempest
Mumford & Sons, Babel
Bob Mould, Silver age
Down IV - part I, The purple EP
The XX, Coexist
ZZ Top, La futura
The Gaslight Anthem, Handwritten
Cat Power, Sun
Ry Cooder, Election special
Joe Buck, Piss and vinegar
Ryan Bingham, Tomorrowland
Assalti Frontali, Let's go
John Coltrane, My favorite things
Charle Mingus, The black saint and the sinner lady
Black Sabbath, Heaven and hell

LETTURE
James Ellroy, Il sangue è randagio
SERIE TV
Life on Mars UK, stagione uno

mercoledì 26 settembre 2012

batman, the dark knight rises


Tragicamente anticipato da un folle fatto di cronaca avvenuto in un cinema alla periferia di Denver, è uscito l'ultimo episodio della saga di Batman di Christopher Nolan. Anticipo senza remore il mio giudizio finale, a mio avviso si tratta del migliore delle tre produzioni.

La storia prende il via otto anni dopo gli eventi che avevano caratterizzato la conclusione di The Dark Knight, rivelandoci che Batman si è ritirato dalla scena. Gotham City è diventata, dal punto di vista della sicurezza, una città modello e sembra che i servigi dell'uomo pipistrello non siano più necessari.
La ragione della sparizione del vigilante mascherato sta nel fatto che Bruce Wayne è rimasto  gravemente ferito dall'ultima sua battaglia contro Joker e Two Faces e vive da recluso in un'ala della sua immensa magione. Saranno due gli eventi che lo spingeranno ad uscire dal suo esilio dorato. Quello del furto subito da parte di una ladra professionista della collana appartenuta alla madre e l'arrivo molto più traumatico del terrorista Bane, un nuovo villain deciso (tanto per cambiare) a sovvertire l'ordine prestabilito nella città.

Il film si cala bene a mio avviso nella classica ambientazione supereroistica che prevede che la caduta dell'eroe nel più profondo degli abissi sia propedeutica alla sua rinascita e al suo rinvigorimento. Bene, qui gli abissi non sono metaforici ma reali e a scaraventarci dentro un Batman ferito nel corpo e nello spirito è Bane, un cattivo davvero meraviglioso nella sua monodimensione di  inquietante e spietata malvagità. Un antagonista pescato dalle pagine dei comics con un intuizione vincente visto che mai finora era stato utilizzato nei precedenti film sull'uomo pipistrello e che diventa il vero protagonista del film, anche grazie all'incisiva recitazione non verbale di Tom Hardy. Altra new entry è quella Anna Hataway alias Catwoman, che comunque, per quanto mi riguarda avrebbe anche potuto recitare leggendo la lista della spesa coi bigodini in testa che tanto l'avrei promossa ugualmente, tanta è la mia attrazione fisica per questa attrice.

Si può dunque tranquillamente passare sopra alle incongruenze della storia, che ci sono, ma sono compatibili con quelle che normalmente percepiamo dai fumetti, senza perdere per questo il gusto di immergerci in una dimensione immaginaria che cerca di agganciarsi ad alcuni aspetti del mondo reale. Ecco, se proprio devo dire ho trovato il finale aperto (mi riferisco alla scoperta del poliziotto John Blake) ad eventuali spin-off francamente evitabile.

Pollice su con convinzione dunque, anche nei riguardi della scelta della produzione di rinunciare al (per me ) odioso 3D in vece di una migliore qualità delle immagini che è permessa dalla tecnologia IMAX.

lunedì 24 settembre 2012

Justin Townes Earle, Nothing's gonna change the way you feel about me now

Bloodshot Records, 2012

E' la prima volta che mi occupo di un lavoro di Justin Townes Earle. Bizzarro, considerata la mia passione per il papà Steve e visto che il ragazzo (beh, insomma quest'anno ha toccato i trenta) è già giunto alla quinta prova discografica (senza peraltro farsi pesantemente mancare gli stravizi - alcol e droghe - del genitore e dello "zio" Townes Van Zandt). 

Il campo da gioco in cui si muove Justin è senza dubbio quello paterno, americana nelle sue incarnazioni più introspettive, folk e cantautoriali. I am that lonely tonight, che apre il lavoro, è in questo senso esplicativa del mood dell'album e del songwriting di Earle jr, un pezzo malinconico con un protagonista drifter ed un risvolto autobiografico (Hear my father on the radio / singing Take me home again / three hundred miles from the California coast / and i'm skinny bones again ). Potrebbe essere un lento alla Springsteen se non fosse per quella delicata tromba a tinte pastello inserita verso la fine (una costante dell'album, quella dei fiati utilizzati in misura non invadente).
E' questo un pò il senso complessivo della musica di Justin: non rinnega le sue radici, le sue influenze (per Unfortunately Anna fa capolino quella di Ryan Adams), il suo stesso DNA, ma cerca di imprimere a ciò che crea il suo tocco artistico personale. Così per Look the other way la palla sarebbe nel campo da gioco di Earle sr, ma ci pensa l'arrangiamento imprevedibilmente soul a sparagliare le carte. La cornice soul tornerà a fare capolino più in avanti con la dinamica Baby's got a bad idea
E' chiaro comunque che è nelle ballate che il nostro si esprime meglio, e tra di esse prevalgono per delicatezza la jazzata Down on the lower east side e la minimale Won't be the last time.

Un lavoro più che buono, che evidenzia come sarebbe ingiusto considerare Justin Townes Earle solo in quanto "figlio di", anche se è quello che inconsapevolmente devo aver pensato fin qui io. Tocca recuperare.

7/10

sabato 22 settembre 2012

Album o' the week / Gun, Swagger (1994)

File:Gunswagger.jpg
Tu guarda a volte le coincidenze. Metto su dopo una vita Swagger degli scozzesi Gun. Dopo un pò mi viene voglia di cercare in rete tracce recenti della band e scopro che dopo quindici anni di sostanziale inattività la band è tornata proprio recentemente (giugno di quest'anno) con una nuova release dall'ovvio titolo Break the silence. Magari lo recupererò, intanto lasciatemi dire due cose su Gun, che è un disco rock senza fronzoli, trascinante, sguaiato ed irresistibile. Anche se l'album è noto sopratutto per la straripante cover di Word up dei Cameo, la tracklist è valida in toto, con una prima parte (Stand in line; Find my way; Word up;Don't say it's over; The only one) esaltante. 
Nonostante il genere sia da molti considerato minore, Swagger suona ancora alla grande quasi vent'anni dopo.

venerdì 21 settembre 2012

80 minuti di Gaslight Anthem

Quattro album, un EP, ininterrottamente in tour  dal 2007. Questa in estrema sintesi la cronistoria dei Gaslight Anthem, new sensation dal New Jersey consacrata da Bruce Springsteen e da un numero sempre crescente di fan che si riconoscono nell'immediatezza punk, nel romanticismo da strada, nella poetica rock e nella passione per il vintage musicale espressa dalla band. Quello che segue è un sunto da ventitre pezzi a fare, volendo, da lubrificante per il concerto di Milano del 6 novembre.

1)      Great expetactions
2)      45
3)      We came to dance
4)      Old white Lincoln
5)      Navesink banks
6)      American slang
7)      Howl
8)      Casanova, baby!
9)      Wherefore art thou, Elvis?
10)   Angry Johnny and the radio
11)   The queen of lower Chelsea
12)   Boomboxes and dictionaries
13)   Here comes my man
14)   The patient ferris wheel
15)   Senor and the queen
16)   Mae
17)   The ’59 sounds
18)   Here’s looking at you, kid!
19)   Blue jeans and white T-shirts
20)   I’da called you Woody, Joe
21)   The diamond church street choir
22)   Film noir
23)   Backseat

mercoledì 19 settembre 2012

Homeland


Homeland è una serie televisiva che, pur ispirandosi ad una produzione originale israeliana, affonda agevolmente le radici nel tessuto dell'America post-post undici settembre, mostrandone le psicosi istituzionali con una narrazione sempre tesa ma che solo occasionalmente deflagra, restando invece spesso sottopelle, dormiente.  Merito principalmente di un cast capace di prove attoriali magistrali, a partire dai due protagonisti Claire Danes (nei panni dell'agente CIA Carrie Mathison) e Damian Lewis (il tenente dei marine Nicholas Brody).


La storia si apre in Iraq, dove la Mathison riesce a scoprire che il prossimo attacco in preparazione contro gli Stati Uniti sarà perpetrato da un soldato americano prima catturato e poi convertito all'Islam dai terroristi. Poco dopo i marines effettuano un'operazione in un villaggio iracheno e liberano il tenente Nicholas Brody, scomparso (e creduto morto) da otto anni. Ovviamente, i sospetti di Carrie si concentrano immediatamente su di lui.


Carrie Mathison è però un personaggio controverso. Agente CIA tra le più intelligenti, meticolose e geniali, nasconde una patologia limitante, una debolezza, che se scoperta provocherebbe, se non l'espulsione dall'Agenzia, sicuramente l'esclusione da ruoli operativi diretti. Chiaramente questo problema del personaggio verrà usato in maniera sublime dagli sceneggiatori, che lo gestiranno come la kryptonite per Superman. Claire Danes si cala nei panni della Mathison offrendo una gamma incredibile di sfaccettature e riflessi emotivi, riuscendo più di una volta a commuovere profondamente.

Non è da meno Damien Lewis con l'interpretazione che dà del tenente Brody e i suoi dubbi morali, i suoi dilemmi, il suo doloroso ritorno nella società americana dopo otto anni da prigioniero di Al Quaeda. Anche per Lewis (volto noto del cinema e della tv USA) una prova superba, con picchi eccezionali negli episodi conclusivi. Tra il resto del cast  molto piaciuto  Mandy Patinkin (che oltre ad essere un caratterista di lungo corso ha una carriera parallela da cantante) nei panni di Saul Berenson, collega/mentore di Carrie, saggio e riflessivo, anche lui dilaniato da conflitti interiori, e Morena Baccarin, con il limite forse di essere troppo aristocraticaticamente figa per il ruolo designatole (moglie di Brody).
 
La bravura degli autori (in precedenza dietro alla macchina da scrivere per "24") non si limita all'allestimento di un thriller che funziona come un micidiale meccanismo ad orologeria, ma raggiunge anche l'obiettivo, per più della metà degli episodi, di tenere all'oscuro la verità agli spettatori, facendoli macerare nel dubbio sulle intuizioni di Carrie. Da un punto di vista civile invece trapela abbastanza nettamente la denuncia alla classe politica americana, al ruolo moderno dell'agenzia di spionaggio ("il compito della CIA oggi è quello di mostrare lo strapotere militare USA ai terroristi, se vuoi fare l'agente segreto di trent'anni fa, vai in Francia o in Inghilterra" dice pressapoco il capo della sezione ad un Saul Berenson sconcertato), all'uso indiscriminanto dei droni, dell'extraordinary rendition e alla disinvoltura con la quale le varie strutture dell'amministrazione USA applicano le leggi contro il terrorismo (l'FBI durante un'operazione uccide per errore due musulmani in una moschea, e il funzionario dei federali risolve in due parole il "caso" sul quale i media potrebbero avventarsi: "chiamate le vittime terroristi e quel che è successo non conterà").
 
Il finale, amaro e struggente nel suo rovesciare i meriti dei protagonisti, chiude il cerchio in modo perfetto. Fino al punto di non farmi desiderare una seconda stagione (che invece sta per partire) a rovinarlo.
 
Last but not least la colonna sonora. Carrie è un'appassionata di jazz, in particolare di Miles Davis e Thelonious Monk, e pertanto questo genere (nella sue declinazioni più dissonanti, tese ed ossessive) fa da cornice perfetta a molti momenti della storia. Per me questa cornice musicale è stata un'autentico valore aggiunto al già straordinario valore della produzione.

In conclusione, se avete poco tempo da dedicare ai serial e potete sceglierne solo uno, fate in modo di far cadere la scelta su Homeland.

lunedì 17 settembre 2012

ZZ Top, La futura

American Recordings, 2012

A me piacevano Eliminator e Afterburner, Patrizio mi guardava con disprezzo. "Tutti quei sintetizzatori... I veri ZZ Top erano quelli del decennio precedente (metà settanta): Tres hombres, Fandango, Tejas, mica roba per fighette come Gimme all your lovin, diamine!" Chiaramente aveva ragione, anche se il suono più poppizzato degli ottanta aveva il suo perchè, dopo sette album con picchi di eccellenza ma tutto sommato monodirezionali.

Questo pacato scambio di opinioni avveniva suppergiù nell'estate nel novantuno,   da   lì a poco gli zìzì sarebbero usciti dal radar delle mie scelte musicali, impegnato com'era ad orientarsi verso nuovi orizzonti, ad osannare altri artisti  e scoprire band eccitanti. 

Ultimamente anche gli ZZ Top hanno rarefatto i loro impegni, visto che La futura è il secondo album rilasciato negli ultimi tredici anni e segue di nove il precedente Mescalero.    

Che il tempo sia servito a ricaricare le batterie non è dato saperlo, certo è che i  tre hombre (tutti del '49, 189 anni complessivi), coadiuvati dalla produzione di Rick prezzemolino Rubin, tirano fuori oggi un lavoro tosto, torrido e coinvolgente, in memoria sì dei vecchi tempi, ma non senza qualche concessione anche all'era dei successi su MTV, in un riuscito equilibrio che va dal blues elettrico fino alle soglie del boogie hard rock, da John Lee Hooker agli AC/DC (che insomma qualcosa gli devono a livello di sound).

La fender slabbrata dell'opener di I gotsa get paid ci riporta ai masterpiece dei settanta, con il valore aggiunto della voce di Gibbons che invecchiando diventa ancora più caratteristica e viene giustamente enfatizzata rispetto agli altri strumenti. Il boogie blues marchio di fabbrica della band arriva come una coltellata nella seguente Charteuse, mentre Over you è un classico lento ai confini con il soul che avrebbe potuto figurare nelle tracklist della produzione di Clapton dei settanta, e Heartache blues, grazie anche all'utilizzo  della armonica, riallaccia il cordone ombelicale con John Lee Hooker. I don't wanna lose, lose you è il classico pezzo dal ritornello killer che si stampa in testa mentre Flying high è  la traccia dalle ambizioni più pop-metal-mainstream del lotto. It's too easy manana è un altro lento sofferto che evoca efficacemente l'immagine standard del gruppo fatta di strade polverose e città di confine.

Un disco che mi sta dando grande soddisfazioni. E chissà cosa ne penserebbe Patrizio.

7,5/10


sabato 15 settembre 2012

Album o' the week / Francesco De Gregori, De Gregori (1978)


De Gregori è stato il primo disco del cantautore romano che ho ascoltato. Si parla praticamente di infanzia, quando in casa girava solo roba pesa di serissimi cantautori impegnati, che in seguito avrei anche apprezzato, ma che a undici anni mi attraeva come trovare il minestrone per cena. Ecco, questo album era un pò la felice eccezione. Non che mancassero brani malinconici nella tracklist dell'album (L'impiccato; Babbo in prgione; la stessa Generale), ma nel complesso le melodie, il cantato, alcuni testi, ad esempio Natale, mi colpirono molto. Il pezzo che più mi piaceva, e che tuttora trovo delizioso, fa parte del repertorio minore di Francesco. Si tratta di Renoir, la cui particolarità era  essere presente in due versioni, lenta/introspettiva e più veloce/spensierata. 
Ovvero come ti stravolgo una canzone e cambiandone gli arrangiamenti ma mantenendo inalterato il testo . Una lezione che sarà ampiamente approfondita in futuro con i vari unplugged.

giovedì 13 settembre 2012

80 minuti di The Killers

Alla vigilia dell'uscita di Battle born, quarto album di studio (al quale andrebbe aggiunta la raccolta di inediti Sawdust) dei Killers, mi sono sollazzato un pò con i loro singoli, allo scopo di formare una playlist magari precoce, vista la storia recente della band, ma comunque, mi auguro, esaustiva.

1)      Tranquilize (feat Lou Reed)
2)      Mr Brightside
3)      When you were young
4)      Human
5)      A dustland fairytale
6)      Read my mind
7)      Spaceman
8)      Bones
9)      The world we live in
10)   Shadowplay
11)   Somebody told me
12)   Smile like you mean it
13)   All these things I’ve done
14)   For reasons unknown
15)   Glamorous indie rock and roll
16)   Joseph, better you than me



martedì 11 settembre 2012

Anarchy, inc. / Season 4



Non ci sono più scuse ne spazio per il romantico messaggio originario di libertà e indipendenza che aveva contraddistinto la nascita negli anni settanta dei Sons. Oggi il club è a tutti gli effetti un'organizzazione criminale che non disdegna alcun tipo di (mal)affare, orientato nelle scelte da un Clay Morrow che sente di avere ancora poco tempo per cavalcare la sua Harley, a causa del noto grave problema di artrosi alle mani, e che quindi cerca di accumulare velocemente quanto più profitto possibile. Dal canto suo il "principino" Jax Teller lo segue obtorto collo per uno scopo diametralmente opposto.

Avevamo lasciato parte dei SAMCRO su un cellulare della polizia diretto al carcere, dove i capi della banda dovevano scontare un breve periodo (un anno e mezzo) di detenzione. La serie riprende con i ragazzi che escono di prigione e si rimettono immediatamente in affari, diversificando il loro business. Tara conserva le lettere che accusano Clay e Gemma per l'omicidio di John, membro fondatore del club, primo marito di Gemma e padre di Jax, meditando sul da farsi. In città c'è un nuovo sceriffo che fa subito capire alla gang che l'aria di accondiscendenza verso di loro è solo un ricordo, il nuovo sindaco vuol trasformare la zona in un posto per ricchi e ci si mette anche un vice procuratore distrettuale ad investigare ad ampio raggio sui traffici dei motociclisti attraverso il programma anti-racket RICO.

La quarta stagione di Sons of Anarchy cancella prepotentemente tutti i tentennamenti che avevano contraddistinto buona parte della precedente (riscattata da un finale epocale, ma fino a quel punto ampiamente deludente), pigiando sull'acceleratore dalla prima puntata e non mollando il piede dal pedale fino alla fine. Per la verità è tale la carica di adrenalina e suspance accumulate nel corso dei dodici episodi, che l'episodio conclusivo, diviso in due parti, sembra quasi deludente, in quanto privo dei micidiali colpi di scena ai quali ci ha abituato Kurt Sutter. La classe dell'autore è tale che in realtà una svolta geniale c'è (all'inizio del final season), ma è inserita con tale nonchalance che quasi se ne perdono impatto e portata.

Nel gioco dei ruoli torna ad avere centralità quello di Gemma, che riprende, suo malgrado, a manovrare chi le sta attorno per raggiungere i suoi scopi; il marito Clay si inimicherà alcuni membri storici dei Sons precipitando in una spirale di paranoia che chiaramente non porterà niente di buono, mentre finalmente si porta ad una definizione credibile la questione Otto Delaney (interpretato dallo stesso Sutter)/Luanne. Tutte ottime le new entry. Lasciatemi dire però che tra un Danny "Machete" Treyo, un Benito "Aceveda" Martinez, un Rockmond "Prison break" Dunbar, la mia preferenza assoluta va a Ray Mc Kinnon, che interpreta il vice procuratore distrettuale in maniera adorabilmente eccentrica. Il suo è un crescendo costante fino a raggiungere l'acme nell'ultima apparizione.

Non avendo fin qui fatto spoiler sugli eventi me ne concedo uno marginale in conclusione, a favore dei lettori che hanno visto sia Sons of Anarchy che The Shield. Kurt Sutter infatti infila due omaggi al miglior serial poliziesco di sempre. 
Il primo è esplicito, quando un televisore in una cella di detenzione trasmette proprio un episodio di The Shield. L'altro è invece un inside joke più sottile che collega i personaggi di Lem (Shield) e Kozic (SOA) entrambi interpretati dall'attore Kenneth Johnson. In una drammatica puntata del serial The Shield Lem/Johnson viene eliminato a seguito dell'esplosione di una bomba. Anche qui Kozic/Johnson capisce che sta per fare la medesima fine (stavolta su una mina anti-uomo) e la sua ultima esclamazione "Non ci posso credere!" sembra ironicamente rivolta agli autori e ai fan delle due serie.

Dal punto di vista musicale solita farcitura di folk-rock con il ricorso frequente a cover di pezzi noti rifatti da interpreti sconosciuti. Tra i brani originali doverosa la segnalazione dell'utilizzo di Machine Gun Blues, tratto dall'ultimo album (2011) dei Social Distortion. 

E' già mostruosa l'attesa per la quinta stagione, in onda a giorni in USA.

lunedì 10 settembre 2012

The Cult, Choice of weapon

Cooking Vynil (2012)

Ricordo che su alcune riviste  (perlopiù di hard-rock/heavy-metal) di quattro o cinque lustri fa, si pigliava un pò per il culo i Cult per il loro essere così tanto cangianti a seconda della moda rocchettara del momento risultando di conseguenza spesso derivativi. 
Non so quanto questa critica sia o meno fondata, ma a volerla prendere per buona, la band di Ian Astbury e Billy Duff a sto giro si è fatta principalmente influenzare... da se stessa, versione 1987/89 (periodo Electric; Sonic Temple): quella cioè di maggior successo commerciale (non la migliore dal punto di vista artistico), quella nella quale le principali fonti di ispirazione del gruppo (i Led Zeppelin quando erano the hammer of the gods) e di Astbury (Jim Morrison; influenza così marcata che per un pò all'inizio dei duemila Ian portò in tour i Doors of the 21st century assieme ai membri originali del gruppo losangelino, Manzarek e Krieger) raggiunsero il loro apice. L'allure nostalgica è peraltro sancita dalla scelta di tornare ad affidarsi alle mani di Bob Rock (forse il Rick Rubin del rock pesante tra gli ottanta e i novanta, sua la mano dietro i maggiori successi di Metallica; Motley Crue; Bon Jovi e decine di altre bands) quale produttore.

Cosa aspettarsi dunque da Choice of weapon, anno di grazia 2012? Per dieci tracce e una quarantina di minuti di durata (ma è disponibile anche una versione deluxe con quattro pezzi in più), chitarroni che macinano riff su riff, voce  imperiosa di Asbury che conduce a ritornelli micidiali riuscendo, in Elemental light; Honey from a knife, Lucifer e The wolf, a mandare indietro di venticinque anni le lancette dell'orologio. Che, sorprendentemente aggiunge alle sopra citate influenze stilistiche il Bowie di Heroes (l'album) per Life/Death, che celebra il lato (rock)blues dei Doors con A pale horse. 


Choice of weapon è in definitiva esattamente come ce lo si poteva aspettare. E' un male? Boh, forse fino ad un certo punto,  visto che compensa la sua prevedibilità picchiando duro e considerato che possiede una manciata di brani in grado di resistere oltre al tour promozionale del disco.
Va bene così,  personalmente ho smesso da tempo di pretendere originalità dai Cult.

6,5/10

sabato 8 settembre 2012

Album o' the week / George Thorogood, 30 Years of rock (2004)


Tutti i lettori del blog di certo conosceranno lo scapestrato che risponde al nome di George Thorogood, cantante/chitarrista del Delaware che ha contraddistinto la sua carriera con il più adrenalitico e selvaggio blues elettrico in circolazione. Noto sopratutto per il brano Bad to the bone (per molto tempo anche sigla del contenitore di rai 3 Blob), George ha ormai superato la boa dei cinquanta e dei trent'anni di carriera. E proprio questo lasso di tempo è coperto dalla raccolta 30 years of rock, che contempla suoi classici (compresa l'irresistibile Get an haircut) e cover (dalle ineludibili Who do you love di Fats Domino, One bourbon one whiskey one beer di J.L. Hooker e le sorprendenti Move it over di Hank Williams, Reelin and rockin' di Chuck Berry e The sky is crying di  Elmore James che è un demonio di lentaccio blues, ai tempi inciso anche da Steve Ray Vaughan). 
Un'irresistibile cavalcata al fulmicotone tra blues, rock and roll e psychobilly.

giovedì 6 settembre 2012

Batman, The Dark Knight



E' molto semplice: fino a che alla criminalità organizzata bastavano pistole e mazze da baseball per mantenere il controllo delle strade non c'era bisogno di un upgrading di mezzi e strumenti. Nel momento in cui a Gotham City compare Batman l'asticella si alza al punto che la mala deve correre ai ripari e adeguarsi. E' qui che entra in gioco The Joker, folle  reietto della società spuntato dal nulla che anela il caos al posto dell'ordine quale perfetto contraltare a tutto ciò che Batman rappresenta. A fronteggiarlo, oltre a Bruce Wayne, il nuovo, integerrimo, procuratore distrettuale Harvey Dent (Aaron Eckhart), capo e amante  di Rachel Dawes (Maggie Gyllenhaal che sostituisce nel ruolo Katie Holmes) amica d'infanzia di Wayne. Al loro posto gli altri caracthers del primo episodio (Alfred/Caine; Gordon/Oldman; Fox/Freeman).

Inevitabilmente, la tragedia che ha messo fine alla vita di Heat Ledger prima dell'uscita del secondo capitolo del Batman di Nolan, oltre a diventare un morboso, straordinario traino per il lancio del film, ha finito per monopolizzare l'attenzione di media e spettatori sull'interpretazione del giovane attore, relegando sullo sfondo tutto il resto. E anche se  Ledger ci dà una visione inquietante del celebre villain DC Comics (sporco,capelli arruffati, cerone screpolato e  rossetto sbavato sull'orrenda cicatrice-ghigno) credo che questi siano ruoli tutto sommato molto più facili da rendere rispetto ad altri, proprio in quanto eccessivi   ed estremi. 

Avendo concluso da poco la saga nolaniana con la visione al cinema del terzo ed ultimo capitolo (The Dark Knight rises), mi sto convincendo che il secondo titolo sia probabilmente il peggiore della trilogia.

mercoledì 5 settembre 2012

44

Sono un pigro rimandatore professionista. C'è tempo, c'è tempo. L'aggiusterò prima o poi quella porta che sta uscendo dai cardini; troverò del tempo per frequentare quelle lezioni di banjo o per un corso di balli irlandesi; alla fine me lo prenderò qualche mese di pausa per vedere se riesco a concentrarmi sulla scrittura; comincerò a mangiare sano e a fare attività fisica seria, lavorerò sulla qualità della vita.

 Solo che, ad un certo punto, pur non essendo vecchio, ti trovi con disincanto ad un età nella quale cominci a pensare che non riuscirai mai, per limiti di tempo, ritmi di lavoro, scadenze economiche, pigrizia e ordini di priorità a fare tutto quello (si tratti di piacere o dovere) che rimandi da anni. Se poi quando ti alzi la mattina ti senti più stanco di quando sei andato a dormire la sera e magari ci si mette anche  l'inquietudine di qualche sintomo nuovo, amplificato da un'ipocondria che non sapevi di avere, il quadro è completo: sei entrato nella fase della sindrome maschile oddio-sto-invecchiando-oddio-morirò, quella che una volta per reazione ti faceva comprare la spider rossa e che oggi, potenza dei costumi che cambiano, ti impone la partecipazione a qualche sport estremo. 

Ecco, tra i mille dubbi che caratterizzano questo periodo della mia vita, almeno una certezza ce l'ho. Non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello di farmi venire un infarto fulminante in una gara di ironman, avessi anche tutto il tempo del mondo.

martedì 4 settembre 2012

bottle of smoke 2.0

Tempo di restyling per il blog. Ho smanettato un pò tra le nuove potenzialità che concede la piattaforma blogspot ed ho operato una sostanziale modifica, non so quanto definitiva, all'aspetto di bottle of smoke. Le tonalità di grigio le ho scelte in quanto rispecchiano molto di più il mio mood attuale rispetto agli allegri colori precedenti, mentre la foto prescelta per l'intestazione è un fotogramma pescato dal film di Spike Lee La 25a ora che, oltre ad essere uno dei miei preferiti in senso assoluto, ai tempi ispirò il mio nick. Il protagonista del film infatti, interpretato in modo strepitoso da Edward Norton si chiamava Monty Brogan. La citazione che ho usato per la descrizione del blog? Naaa. Non volete davvero conoscerla.

lunedì 3 settembre 2012

The Gaslight Anthem, Handwritten


Ci fosse una competizione tra le nuove band di rock americano, i Gaslight Anthem sarebbero posizionati, sulla mia griglia di partenza ideale, avanti di diversi metri rispetto agli altri concorrenti.
Sì, sono abbastanza di parte con la band del cantante/leader Brian Fallon, vuoi per la schiettezza con la quale si presentano, per il modo in cui incarnano il lato romantico del rock classico a stelle e strisce senza sacrificare l'energia dei pezzi, o per le buone vibrazioni che trasmettono on stage, il combo mi è stato risultato simpatico da subito.

La premessa serve a darmi la giusta autorevolezza nell'affermare che questo Handwritten, quarto album in cinque anni, è un preoccupante passo indietro nella carriera degli Anthems. Il singolo "45", che ha anticipato di diverse settimane la release del disco era stato in questo senso rivelatore, e la speranza che il resto della tracklist fosse di tono differente è stata vana. 

E' incredibile, ma sembra che i ragazzi ritengano di essere già arrivati ad un punto tale da poter autocoverizzarsi, scimmiottando il lato più più commerciale del loro suono e infarcendo i pezzi di irritanti cori ohooohh/ehyeeeeh che ti fanno domandare a più riprese se per caso ci si trovi davanti ad una parodia dei Gaslight Anthem fatta da  "Weird Al" Yankovic

Davvero, a tratti la banalità che esce dai microsolchi è sconcertante, nella sua deriva derivativa (scusate il gioco di parole). Chissà se pezzi come la title-track, Howl, 45 o Desire arrangiati in modo diverso avrebbero potuto sentire più di arrosto che di fumo e sopratutto chissà se sono state le  legittime aspirazioni commerciali (da questo punto di vista vincenti, visto che Handwritten ha sfiorato la vetta delle chart UK e USA) a convincere Fallon e soci che il final cut che stavano riascoltando al banco del mixer fosse quello buono da mandare in produzione.

Nulla di tragico, un passo falso ci può stare. La speranza della rinascita risiede in una manciata di pezzi, Too much blood, Mae e sopratutto la dylaniana National anthem (guarda caso tutte ballate o midtempo).

Altre note positive sono la copertina vintage dell'album  (splendida) e due delle tre bonus track della deluxe edition, le cover di Sliver dei Nirvana e You got lucky di Tom Petty, a definire le coordinate musicali della band.

Voto politico sulla fiducia. A patto che gli ohohooooh di Brian non diventino marchio di fabbrica del gruppo al pari degli stanchi eeeeh di Vasco Rossi.

6/10


domenica 2 settembre 2012

Album o' the week / John Coltrane, Coltrane Jazz (1961)


Inaspettatamente, il mood jazz in cui sono dolcemente scivolato (anche per merito del serial tv Homeland, ma ci tornerò nell'apposita recensione), continua ad attanagliarmi. Oggi ho pescato dalla mia discografia questo album di Coltrane, registrato nel 1960 tra due colossi come Giant Steps e My Favorite Things. Il sound è quello classico ed smoothy del quartetto jazz, ben lontano dalle sperimentazioni che contraddistinsero il Trane degli anni a venire. Village blues; Fifth house e Like Sonny i miei pezzi preferiti.