lunedì 28 gennaio 2013

New wave of american country music, 10



Joe Buck Yourself, Piss and vinegar (2011)

Lo dico io prima che qualcuno possa eccepirlo. Joe Buck non suona country. Non nell'accezione comune del termine almeno. Se invece consideriamo il mare nostrum della deriva oscura di quel genere dentro il quale convivono psychobilly, cowpunk,blugrass,hillbilly e hobo allora direi che possiamo cominciare ad intenderci. D'altro canto il nostro ha prestato i suoi servigi da stand up bass player, facendosi un nome anche grazie a live act infuocati, per la creme di quel sottobosco musicale cioè i Th' Legendary Shack Shackers  (Cockadoodledon't del 2003) e vabè, Hank III (Straight to hell e Damn right rebel proud).
Sono scarse le notizie che lo riguardano nel web, difficile mettere ordine nella sua discografia, ma questo Piss and vinegar del 2011 dovrebbe essere il suo terzo full-lenght (mentre sono una mezza dozzina gli EP).

La musica espressa dalla band di Joe è tutto sommato semplice ma non per questo meno coinvolgente. Sezione ritmica ossessiva e veloce, liriche basate su temi quali la ribellione e l'autodistruzione sistematica mediante l'abuso di droga, una voce colloquiale mai spinta al massimo per non rischiare di non tenere la nota. La componente più frequente è proprio quella dello pshychobilly, con evidenti  riferimenti agli Hellbilly di Hank III (nei quali il nostro ha militato), come nella trascinante apertura di Evil motherfucker from Tennesse. E come l'amico Hank, Joe non si fa mancare neanche la critica a tutto campo all'industria discografica di Nashville (Music city's dead), mentre Dig my grave e Drug train sono lì ad aspettare che uno come Nick Cave prima del rehab le interpreti e le rendendole note al grande pubblico, esattamente come meritano.

Ho sviluppato una passione travolgente per questi personaggi della scena underground del Texas e del Tennesse, possono piacere o meno, ma perlomeno sono autenticamente luridi, pericolosi e follemente e ispirati dalla loro musica, al punto che quei fighetti sfornati come tanti Big Jim dalla catena di montaggio delle major del sud, scappano a gambe levate solo a sentirli nominare. Non è forse questo l'aspetto che ci eccitava del rock and roll?






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