lunedì 8 luglio 2013

Wayne Hancock, Ride





"Wayne Hancock has more Hank Sr. in him than either I or Hank Williams Jr. He is the real deal." 
Hank III

La copertina, lo ammetto, è un pò banalotta. Può ricordare gli approssimativi dischi di compilation a tema che si trovano nei cestoni dell'autugrill. Ma vi giuro che questo è l'unico difetto di Ride, opera numero nove nella discografia del texano Wayne Hancock, classe 1965, che per il resto ha superato con l'enorme classe che tutti gli riconoscono il doloroso divorzio dalla moglie, inizialmente elaborato con un viaggio in moto attraverso gli States. Ecco spiegata la copertina, il titolo dell'album e la title track piazzata in apertura.
Il rockabilly di Ride ci conduce dunque all'interno di questo eleven tracks e lo fa con un ritmo traditional trascinate ed un refrain irresistibile. Ecco, a proposito della cifra artistica: ero un pò indeciso sull'opportunità di inserire la citazione di Hank III in premessa di questa recensione. Williams terzo ha infatti una adorazione assoluta per Hancock, ma, musicalmente, dopo un inizio nel quale ha preso in prestito più di un suo pezzo (87 Southbound, Thunderstorm and neon signs, Why don't you leave me alone) si è molto allontanato dagli schemi artistici dell'amico e temevo che qualche lettore che non apprezza l'Hank attuale potesse associare gli stili dei due e precludersi, a prescindere,l'ascolto di Wayne.
Il che, posta la passione non solo per il country, ma per tutta la musica tradizionale americana ante-fifties, sarebbe un vero delitto. Già, perchè con questo lavoro Hancock torna a maramaldeggiare alla grande con tutti i generi popolari a cavallo di quel periodo storico. Detto del rock and roll che apre il lavoro infatti, strada facendo troviamo due magnifici pezzi honky tonk nati già classici al punto da generare incredulità sul fatto che siano inediti e non cover. Si tratta di Low down blues e della magnifica Best to be alone, entrambe magicamente interpretate nell'inconfondibile stile di Williams sr.
E' incredibile che un sound così pieno e corposo come quello di Wayne possa essere realizzato senza l'ausilio della batteria. La band che coadiuva l'artista è infatti esclusivamente composta da strumenti a corda: due chitarre, una slide e un contrabbasso. Particolarità questa che non toglie un grammo al ritmo e all'attitudine del disco e non sminuisce l'impatto della band, versatile al punto di condire di improvvisazioni jazzistiche e assoli pezzi che nascono sotto latitudini differenti. Il segnale con il quale Hancock invita il suo chitarrista all'assolo ("Johnny...") risulta in effetti una delle consuetudini più piacevoli del lavoro.
C'è inoltre da sottolineare come,oltre agli strumenti citati, i pezzi più orientati allo swing-jazz sono impreziositi anche da una tromba fantasticamente retrò: è il caso dell'imperdibile, languido Fair weather blues, di Gal from Kitchen's field, delizioso tributo a Louis Armstrong, e dell'entusiasmante rock and roll/swing di Cappuccino boogie.
 
In sintesi, con Ride abbiamo tra le mani un'opera raffinata e affascinante che segna il ritorno di un artista incredibilmente (ma forse nemmeno tanto, visto il livello dei countryman di successo in USA) ai margini del grande successo, ma in grado di confermarsi, nel caso qualcuno nutrisse dei dubbi, come uno dei più credibili, onesti ed empatici traghettatori della tradizione musicale americana. Coltivo la speranza spasmodica di riuscire a vederlo in concerto, prima o poi.

8/10



1 commento:

Blackswan ha detto...

Il disco è davvero notevole. Resto sempre affascinato (in senso negativo) di come certi artisti, in Italia, non se li fili nessuno, se non una sparuta schiera di aficionados...