mercoledì 4 settembre 2013

The Following


Al di là delle solenni stroncature da parte dell'elite (termine usato senza sarcasmo o disprezzo) della critica televisiva italiana, la miglior definizione per The Following ce la fornisce il New York Times, quando inquadra il programma come "hard to turn off and even harder to watch it (difficile da spegnere e ancora più difficile da guardare)". Ecco, questa è la sintesi perfetta di un serial nato con enormi aspettative, visto l'esordio per un format televisivo di Kevin Bacon, e che, forse proprio per questo, è andato incontro a riscontri critici pesantemente negativi. Che in buona parte ci stanno, lo chiarisco subito, ma che ad un certo punto si sono trasformati in accanimento un pò gratuito, laddove facevano leva su meccanismi narrativi che in altri contesti l'hanno sempre fatta franca.

Lo spunto per The Following è dato principalmente dalla morbosa curiosità degli americani verso i serial killer. Nella storia Joe Carrol (interpretato da un buon James Purefoy), è un ex professore di lettere con la fissa per Edgar Allan Poe, che viene scoperto e arrestato a seguito di una catena di efferati omicidi. Il pilot si apre nove anni dopo il suo arresto con la sua fuga dalla prigione, evento che costringe l'ex agente dell'FBI Ryan Hardy (Kevin Bacon) a mettersi sulle sue tracce. Ryan è rimasto ferito nel fisico e nello spirito dalla cattura di Carrol, a causa di una pugnalata il suo cuore funziona solo grazie ad un by-pass, moralmente è distrutto ed è diventato alcolista. Il pilot ha una conclusione inaspettata, il serial killer si fa infatti catturare volontariamente, non prima però di aver ucciso una donna che era riuscita a scampargli al momento del suo arresto da parte di Ryan. La vicenda sembra giunta a conclusione e invece è appena iniziata, perché si scopre che l'assassino ha costruito nel tempo, attraverso le numerose visite ricevute in carcere e l'utilizzo, all'insaputa dei secondini, della rete internet della biblioteca della prigione, una base di accoliti disposti a tutto per lui e che per lui si sono infiltrati da anni in luoghi strategici, utili al contorto piano di Joe.

Dovrebbero bastare queste poche righe per mettere insieme una bella sequenza di cliché della produzione cinematografica/letteraria/televisiva di polizieschi. Sarebbe sufficiente il tema del super-eroe con super-problemi (Bacon/Hardy), uscito dalle forze dell'ordine, distrutto e alcolizzato, che è costretto a tornare in servizio e ad intrattenere inquietanti colloqui con il serial killer colto, affabile e affascinante (doppia citazione per Thomas Harris e le sue creature Hannibl Lecter e Clarice Starling). Aggiungiamone pure altri, come ad esempio la regola per cui non importa quanti agenti entrino in una casa dell'orrore, alla fine il protagonista si troverà sempre da solo, faccia a faccia con il pericolo, oppure la consuetudine che prevede sempre un commento di musica metal quando ci sono di mezzo i cattivi, o anche quella per cui le forze dell'ordine risultano regolarmente inette rispetto all'arguzia  dell'eroe che arriva sempre prima sulle dinamiche dell'assassino.

Eppure The Following è "hard to turn off". Perchè? Beh, innanzitutto, nonostante tutte le contraddizioni, i clichè e, ahimè, i momenti di comicità involontaria, è innegabile che il serial abbia dei bei momenti di tensione, che James Purefoy,per quanto reciti sempre sopra le righe, spaventa e affascina il giusto e che alcuni colpi di scena lasciano il segno, sovrastando la recitazione perlopiù monocorde di Kevin Bacon, davvero al minimo sindacale del ruolo.

Ammetto che se di questa fiction avessi dovuto seguire i normali tempi della programmazione televisiva, avrei probabilmente mollato il colpo prima degli oltre tre mesi necessari a giungere alla quindicesima puntata, ma come divagazione di un paio di settimane agostiane è andata più che bene. E non solo a me evidentemente. La seconda stagione è infatti in fase di realizzazione e vedrà la luce l'anno prossimo.

Nessun commento: