lunedì 9 dicembre 2013

Hank III, Brothers of the 4 x 4

Sono passati sessantacinque giorni dal primo ottobre, data di pubblicazione di Brothers of the 4x4. In questi tempi di continuo e frenetico turnover di ascolti due mesi abbondanti  di ascolto assiduo rappresentano un lasso di tempo enorme, ma io non ne avrei disdegnato ancora un pò, prima di cimentarmi in questa recensione. Perché Hank Shelton Williams in questi anni è diventato IL mio eroe musicale e il trattamento che riservo ai miei eroi musicali è, storicamente, un approfondimento maniacale, quasi compulsivo, di ogni lavoro che sfornano, a maggior ragione se la loro ultima fatica era stata una mezza delusione.

Da cosa inizio? Beh, innanzitutto questa release va presa come un'arrogante dimostrazione di forza, attraverso la quale il suo autore mette in chiaro la sua capacità di spaziare su ogni singola sfumatura dell'universo country, interpretandola sempre in modo eccellente. Per fare un parallelo, se James Newsted si è sentito in diritto di pubblicare un album dal titolo Heavy Metal Music, H3 avrebbe potuto tranquillamente chiamare questo lavoro Redneck Music, visto che i sedici pezzi (per novanta minuti di durata, distribuiti su due compact disc) che compongono l'opera non si pongono, nel contesto musicale dato, nessun recinto di sottogenere.
Un altro aspetto, ben evidenziato dall'accurata review di Saving country music, è dato da come Williams 3rd abbia orientato i suoi sforzi più sull'aspetto prettamente musicale del progetto piuttosto che sulle liriche. Questa lettura balza all'orecchio già dalla traccia d'apertura Nearly gone, che tende ai nove minuti di durata e che fa della parte strumentale il suo punto di forza, con violino e accordion a trainare un'interminabile giga western che reitera quell' "I don't know", già tormentone del pezzo omonimo, sul debutto Rasin' outlaw del 1999.

Un altro elemento che risulta evidente dall'ascolto dell'opening track e confermata dalle note a corredo del disco, è come Hank continui ad affidarsi a registrazioni domestiche (presso l'Haunted Ranch) che conferiscono una (non esasperata) patina lo-fi al suono dei pezzi, patina che avvolge come una foschia anche tracce dall'altrimenti elevato potenziale commerciale, come l'honky tonk di Hurtin' for certin o il vorticoso country grass della title track. Quello che emerge invece in modo cristallino,  a prescindere dalla qualità delle registrazioni, è invece la bellezza abbagliante di un pezzo come Farthest away, primo lento del disco e prima eccezione alla regola sopra descritta sull'egemonia della parte strumentale rispetto al songwriting. Il tema è quello ampiamente abusato della fine di una relazione, ma proprio per questo è incredibile come l'autore riesca comunque a colpire al cuore l'ascoltatore attraverso l'utilizzo di immagini mai così intime.

Conoscendo l'artista non vi è da sorprendersi se a Farthest away fa seguito il pezzo invece più volgare e greve (ma anche, vivaddio, divertente) dell'album. Parlo di Held up, il cui ritornello ha scandalizzato molti non adepti al culto di Hank 3. E' vero, un passaggio come: "and I love that sweet southern smell of Virginia's vagina" (non credo necessiti di traduzione...) non è il massimo del bon ton, ma voi benpensanti che fate quelle smorfie disgustate con chi pensavate di avere a che fare, Keith Urban?!?

Dal punto di vista delle tematiche, posto che l'argomento principe resta quello dell'insofferenza rispetto a leggi e governi nonchè della vita spericolata, c'è da rilevare più di un'incursione in una sorta di ecologia in salsa western, rappresentato dall'allontanamento da civiltà e tecnologia e dall'avvicinamento a esistenze spartane a stretto contatto con la natura più incontaminata. Vanno in questa direzione due splendide composizioni che arricchiscono lo spettro musicale del disco: Outdoor plan (composta insieme a Eddie Pleasant), introdotta da una tromba che ne impreziosisce la tessitura (e peccato che Hank si sia lasciato sfuggire l'opportunità di un'improvvisazione di questo strumento sulla coda del pezzo, che a mio avviso sarebbe caduta a fagiolo) e, soprattutto, Possum in a tree, la dimostrazione più efficace di quanto questo Williams sappia riproporre magistralmente il canone che ha reso il nonno l'icona country che tuttora continua ad essere.

Tra le altre cose, non ho controllato nel dettaglio, ma sono abbastanza certo del fatto che questo disco contenga anche i pezzi mediamente più lunghi della produzione williamsiana: otto su sedici superano i sei minuti e solo tre restano sotto la soglia dei quattro. Anche questo, al di là di ogni critica (anche giusta) e di ogni polemica, dà la misura dell'incontenibile urgenza espressiva che continua a scuotere Hank: un'urgenza che rappresenta probabilmente l'elemento di maggior fidelizzazione con i suoi fans.

Concludo l'analisi di alcune delle tracce segnalando Ain't broken down, altro lento irresistibile che ha il suo alter ego in Broken boogie, pezzo che ne riprende il tema in salsa veloce, con una coda strumentale sorprendentemente direstraitsiana, e un'irresistibile Toothpickin' (ravanando con lo stuzzicadenti? WTF Hank?!?), che si candida autorevolmente ad essere la Throwing out of the bar degli anni dieci.

In conclusione tiro un sospiro di sollievo per come la carriera dell'outlaw si sia rimessa in carreggiata dopo il mezzo passo falso di Ghost to a ghost (anche se già il suo doppelganger cajun/psichedelico Guttertown lasciava ben sperare) e arrivo a dire che probabilmente Brothers of the 4x4 qualitativamente se la gioca ad armi pari con Damn right rebel proud, album del 2008 di poco inferiore all'epocale Straight to hell. Di più rispetto a quella release ha una migliore media d'eccellenza dei pezzi, in meno i picchi qualitativi che in quel disco erano contenuti, visto che qui manca una Candidate for suicide, una 3 shades of black, una Long hauls & close calls o una P.F.F. (beh, in realtà una P.F.F. c'è: si tratta di Lookey yonder commin', evidente caso di autoplagio, visto l'impiego della stessa struttura musicale e della medesima metrica di quel brano). Si può affermare che Brothers of the 4x4 sia un pò il disco della maturità musicale di Hank, con l'avvertenza che in questo caso non necessariamente maturità coincide con massima espressione artistica. Di certo parliamo di un lavoro nel quale le diverse anime country dell'artista trovano un loro felice equilibrio

Il voto finale è dunque alto, condizionato però da un punto di non irrilevante critica. In questi tempi di downloading selvaggio e illegale non è più accettabile acquistare un prodotto originale dal packaging spartano come quello di BOT4X4, privo com'è di libretto allegato, testi e con le note ridotte al minimo indispensabile. Questo non è spirito punk, mr Williams, ma imperdonabile sciatteria e di certo si sposa male con l'attenzione che normalmente dimostra verso i fans.

8 -




P.S. Non finisce qui. A presto, per la recensione di A fiendish threat, capitolo cowpunk/psychobilly delle nuove avventure di Hank III.


1 commento:

Blackswan ha detto...

Gran bel disco, non c'è che dire. Invece A Fiendish Threat mi ha lasciato molto insoddisfatto.