lunedì 20 gennaio 2014

Hank 3, A fiendish threat


Durante i suoi concerti, arriva sempre il momento in cui Hank III si toglie dalla testa lo sformato cappello da cowboy e scioglie la lunga treccia dei capelli. E' il segnale che il set country è terminato e che inizia quello punk/metal/psychobilly. Questa dinamica, radicata da tempo nei live act di Williams terzo, è riproposta paro paro nelle sue uscite discografiche, per le quali, parallelamente alle release country, da più di dieci anni, esiste una discografia parallela di musica pesa.

Quella per gli anfratti più malsani del rock estremo è una passione che H3 coltiva da sempre, lo testimoniano le numerose scorribande nel settore: i bootleg a tema dei primi anni zero; l'unofficial album This ain't country (oggetto di culto per i fans ma che l'etichetta ha pubblicato solo una volta concluso il contratto con l'artista, cambiandogli il titolo in Hillbilly Joker); la partecipazione come bassista nei Superjoint Ritual (insieme a Phil Anselmo alla voce) e come batterista negli Arson Anthem (ancora con Anselmo, stavolta alla chitarra); gli Assjack (in cui Hank suonava tutti gli strumenti), fino ad arrivare ai recenti  Attention Deficit Domination e 3 Bar Ranch.

Nessuno si è dunque meravigliato se, insieme a Brothers of 4 x 4, l'ultimo album country pubblicato, sia uscito questo A fiendish threat, annunciato come il ritorno allo stile psychobilly.
La strumentazione usata nelle registrazioni effettivamente rispetta i canoni più rigorosi di questo genere: chitarra (rigorosamente non elettrica) e contrabbasso sono percossi in maniera continua e ossessiva, la batteria è presente ma in maniera marginale, mentre la voce di Hank è costantemente filtrata con un "effetto megafono" per tutti i tredici brani dell'album. L'apertura, Can I rip you, e la successiva Different from the rest proiettano la suggestione di una versione lo-fi / post-apocalittica dei Ramones ma non sono affatto malaccio. Con la successiva There's another road ci si diverte ancora, il problema è reggere alla distanza. Sopportare praticamente lo stesso pattern (sono poche le variazioni: giusto una slide guitar ogni tanto) per tutta l'ora di durata dell'album è infatti un impresa che mette a dura prova anche il più integralista dei fan. 
Certo, non si parla di un lavoro atroce come 3 Bar Ranch e, in parte, di ADD, ma, insomma, è comunque richiesto un grande atto d'amore per arrivare in fondo d'un fiato. Diversa è l'opinione se si opera una selezione specifica di ogni pezzo:oltre ai brani d'apertura infatti si segnalano anche Face down, New identity (dall'ottimo potenziale live), e la title track. Il sabbathiano Your floor, unico lento della tracklist, arriva come la sigaretta dopo un amplesso particolarmente movimentato.

Album faticoso. Ma è anche per queste reiterate follie che amiamo Hank.



1 commento:

Blackswan ha detto...

Concordo col tuo giudizio: un disco ostico e anche agnostico. Difficile e parecchio ripetitivo.4x4 mi è piaciuto di gran lunga di più.