lunedì 6 gennaio 2014

The Strypes, Snapshot


La musica Monty, concentrati sulla musica. 
Diversamente dovresti convincerti che oggi, a.d. 2013, quattro ragazzi irlandesi dai 16 ai 18 anni, invece di mettersi diligentemente in fila per le audizioni X-Factor allo scopo di diventare i prossimi One Direction, abbiano imbracciato le chitarre per puntare al trono (effettivamente vacante) degli Yardbirds del nuovo millennio. Difficile da credere. Sento puzza di operazione orchestrata da qualche major, che si mette in scia al movimento revivalista che tanti risultati sta producendo in questi ultimi tempi. 
E allora perchè vi faccio perdere tempo con una recensione? Semplice, perché, accidenti, quando metto il dischetto nel lettore tutte le mie elucubrazioni da matusa che pretende di saperla tutta sul music biz spariscono all'istante. Gli Strypes (anche il vezzo della "y" sbagliata, come i Byrds si sono voluti concedere!) infatti fanno un casino del demonio, hanno un tiro irresistibile, sono trascinanti e producono musica allo stesso tempo fresca,datata e cool.

I riferimenti, come anticipato, sono ai sessanta e al ryhthm and blues bianco inglese, con alcuni doverosi richiami al blues e un'armonica che ogni tanto si intromette spostando le atmosfere verso il pub rock. 
Tutto richiama il periodo della swingin London: gli arrangiamenti, la voce di Josh McClorey, i testi, rigorosamente spensierati quasi sempre rivolti ai rapporti con l'altro sesso, per non parlare del look dei quattro che sembrano usciti da Austin Powers: Goldmember. L'album è una freccia da meno di quaranta minuti che, una volta scoccata, fatichi a rimettere nella faretra e che anzi ti ritrovi a far ripartire da capo ogni volta che termina. Dall'opener Mystery man, passando per Blue collar Jane e She's so fine non c'è un attimo di tregua fino al lento bluesato Angel eyes, ma poi si ricomincia subito a tavoletta e non ci si ferma più fino alla fine. Rolling Stones (I can tell e un'altra mezza dozzina di pezzi), Chuck Berry, i primi Who, i Dr. Feelgood (She's so fine; What the people don't see) e un pò anche i Beatles (What a shame) ringraziano ringalluzziti, ma vengono santificati anche Bo Diddley attraverso la micidiale cover di You can't judge a book by the cover e un pò inaspettatamente Nick Lowe, celebrato con Heart of the city.

Lo ammetto: le perplessità che ho espresso in premessa mi avevano tenuto alla larga da questo disco, nonostante giornalisti e blogger che seguo ne avessero, da subito enfatizzato la qualità. Sono felice di aver cambiato idea in tempo per inserirlo nei migliori del 2013. E anche se gli Strypes si rivelassero un fake della portata dei Milli Vanilli poco male, dopotutto Girl you know it's true resta comunque una grande canzone e lo stesso vale per tutto Snapshot
Come dicevo, in ultima analisi conta la musica. Tutto il resto è di contorno.

8/10

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