giovedì 31 luglio 2014

MFT, luglio 2014

LA MUSICA

Beh, il mese di luglio è stato quasi interamente dedicato all'ascolto intensivo dei Black Sabbath post-Ozzy e con Ronnie James Dio alla voce. Heaven and hell, Mob rules, Dehumanizer per quanto concerne i lavori in studio, Live evil e Live at Radio City Music Hall (uscito nel 2007 sotto la ragione sociale degli Heaven and Hell) per i dischi dal vivo, mi hanno tenuto compagnia a lungo e, non essendone ancora saturo, presumo lo faranno ancora per un po'.
 
 
La playlist degli album del mese include inoltre Eric Clapton and Friends con The breeze,  il tributo a J.J. Cale; un raccoltone self made di Bob Seger; Back to the camper di Bob Wayne, Metamodern sounds in country music di Sturgill Simpson e i fratelli Alvin con Common ground.
Sul versante nuove uscite, l'attesa è tutta per Get hurt, il nuovo lavoro dei Gaslight Anthem, previsto a giorni.

I SERIAL

Mentre la seconda stagione di Orange is the new black volge al termine, seguo distrattamente la terza di 24 e con crescente interesse l'esordio di The Leftovers.

martedì 29 luglio 2014

From Brescia to Milan

 

Stamattina ho provato la nuovissima autostrada Bre.Be.Mi. Era il minimo che potessi fare, visto il costante palo nel culo rappresentato dai lavori stradali degli ultimi tre-quattro anni.  La highway, come è noto, unisce le tre città lombarde Brescia Bergamo Milano e, al momento, non è ancora del tutto ultimata (mancano gli ultimi chilometri per Milano). Stamattina, non avendo niente da perdere, in considerazione dell'orario di totale intasamento sulle mie solite provinciali, ho inaugurato il tratto Treviglio - Liscate.
L'effetto è stato decisamente irreale. Le corsie dell'autostrada erano talmente libere che sembrava di lambire città fantasma: mancavano solo le auto abbandonate sul ciglio e si sarebbe ricreato in pieno l'effetto The Walking Dead. In pochi minuti ho fatto due dozzine di chilometri, e questo è bene. Al casello però mi hanno chiesto la cifra delinquenziale di €3,50 e questo è male. Mi dicono che partendo dal punto più estremo della tratta e arrivando all'altro si debba pagare, per poco più di sessanta km, una decina di euro, che vanno ovviamente moltiplicati per due (A/R).
Considerando che dovrebbe essere una strada per i pendolari non vi sembra un tantinello eccessivo?

sabato 26 luglio 2014

Dave Alvin & Phil Alvin, Common Ground


All'epoca dei fatti non conoscevo nemmeno l'ABC della scena rock, figuriamoci se potessi sapere chi fossero i Blasters! Però in quel bel cinema di una sonnacchiosa provincia milanese One bad stud e Blue shadows contribuirono enormemente ad accendere una scintilla, quella per il rock and roll, che magari negli anni si è occasionalmente affievolita ma non si è mai spenta. I due brani erano compresi nella colonna sonora di Streets of fire (1985), film di Walter Hill nel quale la band dei fratelli Alvin, pur senza esplicitarlo, appariva in un cameo nel ruolo di se stessa.
Per motivazioni tanto particolari quanto noiose, quando ho cominciato la mia infinita corsa ad accaparrarmi dischi di svariati generi e artisti, non è con questo gruppo che ho iniziato a dissanguarmi, solo in un secondo momento, attraverso la meravigliosa antologia della Rhino, sono riuscito a sanare il debito di riconoscenza con gli Alvin. Permane invece  l'handicap di non essere mai riuscito a vederli dal vivo. 

Come spesso accade nei gruppi a conduzione familiare, gli split sono da attribuirsi alle tensioni tra fratelli e questa è stata, nel 1986, anche la ragione della fine dei Blasters. Successivamente, sebbene ci siano stati occasionali riavvicinamenti sfociati in occasionali tour celebrativi, i due non si sono più trovati nello stesso studio a registrare un intero album. Solo oggi, dopo che le rispettive carriere soliste hanno decisamente premiato Dave (una dozzina di lavori) più che Phil (due soli dischi a proprio nome) gli Alvin si sono ritrovati con questo Common Ground, assemblato per celebrare la musica di Big Bill Bronzy, bluesman  della prima metà del novecento che tanto ha influenzato la scena americana e inglese.
Anche se potrei non fare testo, l'esito è esaltante. Le due voci tornano ad inseguirsi ed alternarsi in una miscela di rock and roll, blues, pub rock e roots che dà il capogiro. Il suono è asciutto, il piano costituisce l'ossatura del sound, i riff di chitarra, prima nervosi poi saturati di quella pigrizia tipica del stati del sud, annientano ogni resistenza di chi, come me, si sente un pò orfano di quello che sapevano tirare fuori gli Alvin, coadiuvati dal leggendario e rimpianto Lee Allen al sax e da Gene Taylor al pianoforte.

La chiosa della recensione è scontata ma inevitabile: che questo riavvicinamento ci possa portare ad un ritorno (magari con materiale nuovo) dei Blasters? La speranza, da sempre segretamente coltivata, torna a prendere coraggio. 

martedì 22 luglio 2014

24, stagione due


L'importante è dare alle cose il loro giusto peso. E' in questo modo che sono arrivato alla giusta chiave di lettura per "24", un serial qualitativamente inferiore alla media delle produzioni moderne, ma che può risultare un buon diversivo per gli appassionati del genere d'azione, a patto di guardarlo senza troppo impegno, mentre si fa altro, in mancanza di alternative migliori  o quando la tv la sbirci svogliatamente e non ti va di bruciare fiction a cui tieni (e per le quali riservi la massima concentrazione). Mi ricorda i telefilm polizieschi che RAI2 trasmetteva una vita fa alle 18.30, che erano diventati un appuntamento fisso del preserale, da seguire mentre apparecchiavo la tavola. A questo approccio rilassato ci sono arrivato anche grazie al servizio on demand di Sky che ha messo a disposizione tutte le stagioni del telefilm con Kiefer Sutherland e mi ha dato modo di scalarne pigramente la montagna di stagioni accumulata dal 2001.
 
Dunque, il "day two" inizia un anno e mezzo dopo la conclusione dei fatti narrati nella precedente season, con Jack Bauer che si è dimesso dal CTU dopo l'omicidio della moglie. Ovviamente sarà richiamato in tutta urgenza perché dei terroristi progettano di far esplodere niente di meno che una bomba atomica a Los Angeles. Si torna così sulla giostra delle trame e delle sottotrame che coinvolgono il CTU, la presidenza degli USA e, ahimè, quella stronza micidiale che è la figlia di Bauer, simpatica come una cartella di Equitalia e dotata di una speciale calamita per attirare psicopatici e menare una sfiga devastante a chi la circonda. Politicamente la produzione vive una strano equilibrio tra radicalismi marcatamente di destra (Bauer tortura e uccide senza rimorsi) ed azioni antimilitariste molto liberal (incarnate dal presidente Palmer). Come nella prima stagione circostanze inverosimili e dinamiche involontariamente comiche si sprecano, così come si ripete il vorticoso turnover di personaggi secondari e guest, che compaiono e spariscono a dozzine ogni due-tre episodi.
La regia, con quei primi piani dozzinali alla Beautiful, la fotografia banale, le luci "smarmellate" e molte delle prove offerte dal cast si confermano più attinenti ad una soap che al genere spionistico d'azione, ma, tutto sommato, vuoi vedere come va a finire l'amabaradan, e il colpo di scena conclusivo ti ripaga di qualche sbadiglio e di alcuni fill-in di troppo.
Non è Le strade di San Francisco, ma per ammazzare il tempo mentre mi stiro le camicie va benone.

giovedì 10 luglio 2014

Gomorra, la serie


Bisogna attendere oltre il giro di boa di metà stagione perchè la vera natura di Gomorra si riveli ai nostri occhi. Prima di quel momento il serial sulla malavita organizzata di base in Campania si "limitava" ad essere un'ottima gangster fiction, realistica e ben girata ma senza la necessaria scintilla che ne facesse un prodotto d'eccellenza, con in più l'aggravante dell'assenza di elementi che impedissero la poco etica immedesimazione dello spettatore con le figure negative di questi criminali, sulla scia dell'empatia scattata qualche anno fa davanti alle gesta di Dandi, Libano e il Freddo, in Romanzo Criminale
Non è un caso che nei primi episodi una delle poche figure positive della storia, il direttore del carcere in cui è condotto il capofamiglia Savastano, venga offerta allo spettatore all'esatto opposto: come negativa e tirannica rispetto alle condizioni dei detenuti. 
E' solo dopo l'ottavo episodio che, in considerazione della pesante collaborazione al progetto di Roberto Saviano, i conti cominciano a tornare. E' da quel momento in poi che lo spettatore perde ogni confortevole certezza che si era costruito e cade nella trappola audacemente confezionata degli sceneggiatori.
E' quello l'interruttore che accende implacabilmente la luce sulla vera natura dei characters, sgretolando ogni empatia o fidelizzazione che si era fin lì attivata. Le sfaccettature dei personaggi sono mostrate in tutte le loro devastanti contraddizioni. Tutti, a partire dal boss Pietro Savastano (un bravo, anche se un pò teatrale Fortunato Cerlino), alla moglie, "Imma" (l'ottima Maria Pia Calzone), passando per Ciro "l'immortale" Di Marzio (Marco D'Amore), tormentato ma ambizioso "soldato" della crew di don Pietro, fino a Gennaro "Genny" Savastano (Salvatore Esposito), passano con naturalezza dal compiere (pochi) atti di profonda generosità a commettere azioni abbiette ed atroci, qualcuna di esse (il brutale omicidio di una ragazza incensurata e la strage nella comunità nera) ripresa pari pari dalla cronaca autentica di questi ultimi anni. 
L'attenzione dei media per il cast si è concentrata su Marco D'Amore (Ciro) che, sebbene in un contesto spiccatamente corale, racchiude maggiormente le caratteristiche del protagonista principale, ma a mio avviso le migliori prove attoriali sono fornite da Salvatore Esposito (Genny, il figlio di don Pietro) capace di rendere in maniera straordinaria la metamorfosi del suo personaggio attraverso un encomiabile lavoro sulla postura, sullo sguardo, sulla comunicazione non verbale, sull'imponente fisicità, prima repressa e poi lasciata deflagrare, e dalla "madre" Maria Pia Calzone, grazie alla sua passionale incarnazione di capo capofamiglia femminista.

Nella tenuta complessiva di tutti questi aspetti, che hanno evitato con intelligenza il rischio di una ripresa dei clichè vincenti ma ormai abusati di Romanzo Criminale, Gomorra si dimostra un progetto che ha raggiunto appieno l'obiettivo di coniugare l'azione civile di denuncia con i ritmi e le modalità delle serie poliziesche (strepitoso, da questo punto di vista, il cliffhanger conclusivo). Non devono pertanto sorprendere la sua affermazione, la conferma per una seconda stagione e l'enorme interesse per il prodotto da parte del mercato internazionale che conta. 

martedì 8 luglio 2014

Five Finger Death Punch, American Capitalist (2011)


Non sono snob e non ho mai trovato niente di sbagliato nel proporre musica derivativa da stili e generi imposti da altri. L'essenziale è che all'interno della proposta siano comunque individuabili elementi di distinzione e, soprattutto, Le Canzoni. Ecco, i Five Finger Death Punch a mio avviso queste caratteristiche le riscontrano in pieno. Suono duro ma non sempre, così come piace oggi, in equilibrio tra hardcore, nu metal e rock melodico, con espliciti riferimenti a Pantera, Stone sour e in qualche caso P.O.D. e Godsmack e con un'amalgama tra cantato in screaming e pulito che funzione a dovere. 
Così, dentro a questo American Capitalist (album del 2011 al quale il combo ha già provveduto a regalare due successori nel 2013), laddove episodi quali gli ottimi Menace, Under and over it e la title track sono efficacissime affermazioni della natura fucking hostile del gruppo e The pride si raccorda con la natura più nu metal della band, le ballate Coming down ma soprattutto Remember everything rivelano invece l'anima ruffiana e, oserei dire AOR dei 5FDT.
Una bella scoperta per il sottoscritto. Un album divertente e fragoroso. Una band che non ha inventato niente, come centinaia di altre, ma che a differenza di altre reinventa e contamina in maniera godibile generi ampiamente brandizzati. Di sti tempi non è poco.

sabato 5 luglio 2014

Way down in the hole:The Wire, season 4


Se The Wire è probabilmente il miglior serial poliziesco di sempre è anche perchè si può permettere un'intera quarta stagione dove, nella storia, di poliziesco non c'è che la cornice. Sembra un paradosso ma è esattamente così. Dopo averci fatto fidelizzare con i protagonisti della squadra operativa (su tutti Dominic West / Jimmy McNulty), Simon e Burns, autori della serie, sparagliano le carte, sciogliendo la squadra e posizionandone i detective sullo sfondo della fotografia, per stringere il focus sui giochi di potere nelle istituzioni di Baltimora e, soprattutto, squarciando il velo dell'ipocrisia del sistema scolastico locale il cui unico sforzo non è educare e formare i ragazzi ma produrre statistiche coerenti con i margini previsti dall'amministrazione comunale. Per cui sì, dopo la fine di Barksdale e Stringer Bell, c'è un nuovo cattivo in città: il feroce Marlo Stanfield con la sua coppia di improbabili ma letali sicari, ma la nostra attenzione è tutta rivolta al gruppo di ragazzini di terza media che crescono precocemente emarginati, con madri tossiche che gli rubano soldi e uniformi scolastiche per la dose quotidiana e padri assenti. I veri protagonisti sono senza dubbio loro, insieme ai pochi insegnanti che ne hanno a cuore le sorti, come gli ex poliziotti Roland "Prez" Pryzbylewski e Howard Colvin. 
La quarta stagione di The Wire è lunga (13 episodi di un'ora ciascuno, con il finale da un'ora e venti) e a tratti faticosa, ma straordinariamente appagante e densa di emozioni. Gli ultimi minuti della final season, con i ragazzi del gruppo che vanno incontro ognuno al proprio destino, perlopiù segnato, e l'atteso ritorno, anche se solo con un piccolo cameo, di Steve Earle è il perfetto epilogo che concilia e armonizza l'intero percorso narrativo. Impossibile chiedere di più.
Nella conclusiva stagione cinque, che a questo punto gestirò come un rarissimo distillato, avremo di nuovo la squadra al completo e vedremo come Simon riuscirà a coniugare il plausibile ritorno alla detective story con il grandioso affresco storico-sociale che ha saputo dipingere su Baltimora.