lunedì 14 settembre 2015

Southside Johnny & The Asbury Jukes, Soultime!


Musicalmente parlando, quello della nostalgia per il passato è sicuramente uno dei temi ricorrenti del blog. E se parliamo di passato, pochi artisti appaiono demodè al pari di Southside Johnny, l'archetipo dell'outsider, dell'underdog che rimane tale, del loser che il successo l'ha sempre e solo sfiorato con la punta delle dita senza mai riuscire ad afferrarlo.
Benché il suo periodo migliore sia racchiuso negli anni dal 1976 (l'irrinunciabile I don't wanna go home) al 1981 (l'essenziale Live: Reach up and touch the sky) e alla collaborazione con Springsteen  e Little Steven, John Lyon (vero nome del musicista) è riuscito anche successivamente a scaldare i cuori dei suoi seguaci con lavori che avrebbero meritato ben altra fortuna, come ad esempio lo straripante Better days del 1991. Sempre fuori dalla luce dei riflettori, con o senza i sodali Asbury Jukes, Southside è stato costante nelle sue uscite a ritmo di una ogni due-tre anni, senza considerare i numerosi live. Per questo il lustro trascorso da Pills and ammo mi è sembrato un'eternità.
 
Soultime! giustifica però pienamente l'attesa, visto che ci consegna un artista tirato a lucido e undici episodi di una bellezza abbacinante, bagnati nell'oro liquido  dei tempi migliori. Il titolo dice tutto (ma anche no): se la partenza è infatti da cardiopalma con tre pezzi che riprendono la migliore tradizione soul della ditta di casa e una Don't waste my time che in un mondo giusto scalerebbe le classifiche dei singoli, la prosecuzione della tracklist riesce nell'impresa di non abbassare di un millimetro l'asticella della qualità complessiva, spostando orizzontalmente il mood verso un elegantissimo errebì bianco alla Style Council (Looking for a good time) e un brano che pesca a piene mani dalla blaxpotation e da un tipo come Bobby Womack (Walking on a thin line), passando per la toccante love song "adulta" Words fails me. Insomma una festa. E come ogni festa vintage che si rispetti, alla fine arrivano i lenti. E che lenti. Dal mosso con brio I'm not that loney alla ballad con bolla papale The heart always know, Johnny tira fuori il crooner che ha dentro, non lasciando scampo al nostro cuore di burro.
 
Un disco travolgente e inaspettato che celebra i sessantacinque anni di un'artista testardamente attaccato alla voglia di creare musica, nonostante il resto del mondo tenti ostinatamente di marginalizzarlo. Nella short list dei migliori dell'anno.
 

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