giovedì 31 marzo 2016

MFT (Monty's Favorite Tunes), marzo 2016


ASCOLTI

Joe Bonamassa, Blues of desperation
Rolling Stones, Tattoo you
Thin Lizzy, Black Rose
Brian Fallon, Painkillers
Steel Panthers, Live from Lexxi's mom garage
Austin Lucas, Between the moon and the midwest
Led Zeppelin, Physical graffiti
Iggy Pop, Post pop depression
REM, Out of time
Elio e Le Storie Tese, Figgatta de blanc
Venom, Black metal

In arrivo

Sturgill Simpson, A sailor's guide to earth
Hayes Carll, Lovers and leavers

Monografie

Eagles
Dream Theater (1992/2002)

VISIONI

House of cards, 4
In Treatment, 2
Le regole del delitto perfetto, 2
Vinyl
The Walking Dead, 6
The Sopranos, 6

LETTURE

Stephen Davis, Il martello degli dei

martedì 29 marzo 2016

Daredevil, stagione uno


Se sul versante cinematografico si può tranquillamente affermare che la Marvel abbia asfaltato la DC Comics con una scarica di produzioni che neanche un attacco di dissenteria dopo un'indigestione di impepata di cozze avariate, nel campo delle serie televisive la casa di Batman e Superman si è invece mossa bene e in anticipo, prima con il buon successo di Smallville e Lois & Clark, e più di recente con Arrow e The Flash. La multinazionale dell'intrattenimento, creata da Stan Lee ed oggi di proprietà del gruppo Disney, non poteva che rispondere adeguatamente all'offensiva degli eterni rivali e così, dopo aver lanciato The Shield (giunto alla terza stagione), ha cominciato ad occuparsi dei super-eroi, privilegiando ovviamente quelli calati nella realtà urbana, con produzioni quali Agent Carter; Powers; Jessica Jones (lanciate nel 2015) e Luke Cage; Iron Fist; The Defenders (in arrivo nel corso di quest'anno).
Nel 2015, su Netflix, è partita anche la prima di Daredevil (noto in Italia come Devil), super-eroe cieco creato insieme alla prima ondata di characters nei primi sessanta dalla fantasia di Lee e Kirby e dalle matite di Bill Everett, ma che nel corso degli anni ha beneficiato dello stile acido e visionario di Gene Colan e di quello crudo e inconfondibile di Frank Miller.
Proprio nella saga di Hell's Kitchen del disegnatore (e autore), tra gli altri, di 300 e Sin City, trova ispirazione questo Daredevil televisivo (che succede a quello cinematografico del 2003 con protagonista lo stesso Ben Affleck che oggi veste il costume di Batman) che si avvale di un ottimo cast composto da Charlie Cox nel ruolo di Matt Murdock/Devil; Vincent Onofrio nei panni di un tormentato ma spietato Richard Fisk/Kingpin; Rosario Dawson in quelli di una coraggiosa infermiera e David Carradine nel panni dell'insegnante di arti marziali del giovane Murdock.
Per dodici dei tredici episodi complessivi la serie è davvero notevole nel ricreare l'ambientazione decadente e oscura di questo quartiere violento e degradato di New York: trama, dialoghi e personaggi di contorno (da uno spettacolare Elden Henson/Foggy Nelson socio di Murdock ad un Vondie Curtis-Hall/Ben Ulrich che, benché gli venga cambiato il colore della pelle  - da bianca a nera -  rispetto ai fumetti, incarna egregiamente lo spirito del giornalista di denuncia) si avvicinano al paradiso delle trasposizioni da strips a piccolo schermo, salvo poi, nell'ultimo episodio, sbracare clamorosamente nei peggiori cliché del genere.
 
La già annunciata seconda stagione partirà a giorni e si avvarrà  della partecipazione di Elektra (interpretata da Elodie Yung) e, soprattutto, The Punisher (Jon Bernthal, di recente visto di The wolf of Wall Street e Show me a hero, ma che tutti ricordiamo bene come amico/rivale di Rick Grames in The Walking Dead).

lunedì 21 marzo 2016

Resurrection Kings, self titled

 http://assets.blabbermouth.net.s3.amazonaws.com/media/resurrectionkingscoverartwork.jpg

Cosa succede se mettete nello stesso studio di registrazione Vinny Appice (batteria, ex, tra gli altri di Black Sabbath/Heaven and hell e Dio), Craig Goldy (chitarra, ex Dio) Chast West e Sean McNabb (voce e basso, ex Lynch Mob)? Vi concedo un aiutino: non viene fuori un disco di musica elettronica.
I quattro dinosauri del classic hard rock tirano ovviamente fuori un album sapientemente orientato all'adult oriented rock che si dipana attraverso dieci episodi con il solo difetto di essere pubblicati nel 2016 e non nel 1986.
Ma a parte questo trascurabile dettaglio, già dallo sparo del via, rappresentato da Distant prayer, i nostalgici del genere avranno di che gioire grazie ad un'architettura sonora che è come una finta di Robben: tutti sanno che andrà quasi sempre dalla stessa parte (nel caso del calciatore del Bayern a sinistra), e ogni volta il gesto tecnico risulta comunque ubriacante.
Certo, per fare un paragone di luminari del genere ancora in pista, non siamo ai livelli d'eccellenza ad esempio dei Chickenfoot di Sammy Hagar, ma vi garantisco che queste arzille cariatidi sanno il fatto loro e lo dimostrano riversando dagli altoparlanti un sound coeso, pulito e massiccio, unito a composizioni non certo miracolose ma dannatamente efficaci come, oltre all'opener,  Who did you run, Had enough o la conclusiva What you take.

Never surrender.

lunedì 14 marzo 2016

Metallica, Load (1996)

 http://www.rockgarage.it/wp-content/uploads/2012/05/Metallica-Load.jpg

C'era una collana di albi Marvel dal titolo What if: non era dedicata ad un solo personaggio, ma ospitava a rotazione i diversi eroi della casa editrice. La sua particolarità era quella di partire da uno spunto passato delle storie del super dudes di turno e fargli prendere una piega differente da quella decisa dagli sceneggiatori nelle serie regolari. Essendo fuori dalla rigida continuità Marvel, ovviamente gli autori avevano mano completamente libera, e questo a volte gli permetteva di creare storie meno liturgiche e più coraggiose, originali ed imprevedibili.
I metallica, dopo il successo strabordante del black album del 1991 e dell'infinito tour che l'ha seguito (quattro anni per quasi trecentocinquanta concerti) hanno cominciato a chiedersi da che parte la carriera della band avrebbe dovuto andare. L'evoluzione naturale del brand, che si era affermato in ambito metal come nome tutelare del thrash, ma che aveva esordito con un album che molto doveva al punk rock e che con ...And justice for all aveva esplorato altri lidi musicali, dalle parti del prog, non poteva essere fermata.  
L'operazione allontanamento (quasi) definitivo dalle proprie origini avvenne da ogni punto di vista. Prima ancora che da quello musicale fu tutto quanto atteneva all'aspetto esteriore del business a lanciare segnali abbastanza inequivocabili, già a partire dall'artwork del nuovo disco, con lo storico logo del nome, per la prima volta accantonato in favore di un carattere più anonimo, con giusto un richiamo al passato nella prima e ultima lettera.  All'interno del corposo booklet del CD James, Kirk, Lars e Jason si fanno ritrarre in pose gaudenti e scherzose, manco fossero i Backstreet Boys, così come nel retro di copertina sfoggiano tutti capelli corti, giacche alla moda e camicie variopinte. Anche la copertina del disco abbandona i classici stilemi della band. Quello che all'apparenza sembra un disegno di fiamme su fondo nero è invece un'opera dell'artista Andres Serrano che per realizzarla ha usato sangue di bovino e proprio sperma inseriti  tra due fogli di plexiglass. Avanguardia artistica, insomma.

In tutto questo la musica non ha subito la stessa drastica trasformazione. Load non è certo un album pop, ma piuttosto un esempio di robusto rock con meno grugniti da parte di Hetfield e più influenze blues, più varianti chitarristiche, più melodia (non che sia mai mancata nei dischi dei Tallica) e in generale un atteggiamento più adulto verso le composizioni. 
Così se Ain't my bitch deve ancora molto all'arena sound modello black album e Until it sleeps potrebbe essere uno scarto dello stesso disco, le tracce 2 x 4 e The house Jack builds rendono invece bene il nuovo corso. In questo continuo altalenare tra tentazioni di fare un "black album II" e di spiccare il volo verso nuovi e artisticamente più appaganti lidi, probabilmente la seconda parte del lavoro riserva le maggiori soddisfazioni, con una Poor twisted me rallentata e cattiva, una Mama said delicata e introspettiva, una Thorn within candidamente doom e una Ronnie sorretta da un semplice ma efficace riff blues.
Ad ascoltarlo con maggiore serenita vent'anni dopo la sua pubblicazione, Load non diventa certo un capolavoro, ma di certo recupera più di un punto rispetto alle frettolose e adolescenziali  valutazioni da fan deluso dell'epoca. 
Soprattutto sovviene l'amara considerazione che questi siano stati gli ultimi Metallica genuini, quelli che hanno tentato di crescere e diventare adulti, evolvendo il proprio sound. Già con Reload, dell'anno successivo, cominceranno la retromarcia, fino a ritirarsi del tutto da ogni velleità con l'insincero St Anger e con Death magnetic, per i quali Hetfield ha tolto dalla naftalina il gilerino di pelle con le toppe di bands del sottobosco metal che probabilmente non ascolta più da un secolo, ma che ancora oggi, a cinquantasei anni, porta sui palchi di tutto il mondo.

Insomma, cosa sarebbe successo (what if) se i Metallica avessero avuto l'onestà e l'ardire di proseguire nel loro processo di allontanamento dai clichè del metal purtroppo non lo sapremo mai e la risposta può solo essere materia di suggestive ipotesi di fiction.

lunedì 7 marzo 2016

MFT, gennaio e febbraio 2016

Fino a qualche mese fa questa autocompiacente rubrichetta è stata un appuntamento mensile fisso del blog (il counter segna a tal proposito novantaquattro post, il che significa quasi otto anni di pubblicazioni).
Non c'è una ragione particolare per la quale ho smesso di scriverla e postarla, semplicemente non avevo particolari stimoli per farlo. Nel rimetterla in pista voglio approfittarne per togliermi un peso dalla coscienza. Da quando ho iniziato con questo blog (e a dicembre saranno dieci anni) mi sono dato il rigoroso impegno di non copiare mai da altre fonti. Vale a dire che ogni singola parola che ho scritto in tutti questi anni, interessante o banale che fosse, è stata esclusivamente farina del mio sacco. Unica grande eccezione proprio il titolo di questi post seriali, evidentemente sottratto all'omonima rubrica della rivista Buscadero. Per questa ragione, nel tempo che mi separa da qui al prossimo appuntamento mi sforzerò di trovare un significato diverso e più personale all'acronimo MFT (My Favorite Things). Si accettano suggerimenti.

ASCOLTI

Metallica, Load
Artisti Vari, God don't never change: the songs of Blind Willie Johnson
Spidergawd, III
The Cult, Hidden city
Fat White Family, Songs for our mothers
Resurrection Kings, self titled
Megadeth, Dystopia
Tom Petty, Wildflowers

Monografie:

Led Zeppelin
Eagles
Warren Zevon

VISIONI

House of cards 3
Le regole del delitto perfetto 2
In Treatment 2
Billions
Vinyl
The Walking Dead 6

LETTURE

Stephen Davis, Il martello degli dei





venerdì 4 marzo 2016