lunedì 7 novembre 2016

Motorhead, Bad magic (2015)

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"(...) non ho paura di morire, ne tantomeno mi preoccupo del dopo, ma di certo ho compreso meglio due cose: che ho dei limiti ma che non mi voglio nemmeno arrendere. Insomma, ho capito che anch'io morirò, ma non voglio certo passare gli ultimi anni in un ricovero. (...) Per concludere, 'Till the end' sostanzialmente dice che farò questa vita per sempre."

Queste le parole di una delle ultime interviste rilasciate da Lemmy Kilmister durante la promozione di Bad Magic, nell'estate dell'anno scorso. Pronunciate da chiunque altro, queste frasi sarebbero apparse ai più come l'ennesima smargiassata dell'attempata rockstar di turno, che gonfia il petto davanti ai taccuini per poi riprendere la propria dieta salutista a base di centrifughe sedano e carote. Nessuno ha invece osato contraddire la coerenza di mister Kilmister, che negli ultimi mesi, nonostante condizioni di salute terrificanti, ha continuato a calcare i palchi di mezzo mondo (certo, con risultati spesso disastrosi) riuscendo anche a comporre il proprio testamento artistico: Bad Magic, l'ultimo album dei Motorhead.
La band ha spesso giocato, nei suoi testi, con la vita e la morte, l'orgoglio e la forza, il clangore della resistenza ai compromessi contrapposto  alla musica da ascensore di un'esistenza incanalata su binari ordinari.
Non sfugge alla regola nemmeno Bad magic, le cui prime note riservate all'ascoltatore sono quelle della voce catrame e schegge di vetro di Lemmy che, prima ancora che entrino chitarra di Phil Campbell e batteria di Mikkey Dee, esclama  Victory or die!. Ironia della sorte, stavolta a prevalere sarà l'opzione due della dicotomia del titolo.
La considerazione della critica riguardo i Motorhead ricalca quella riservata a tante altre band gloriose, frettolosamente accantonate negli anni novanta e assunte a ruolo di mito nella seconda metà degli anni zero. C'era fretta e superficialità nelle stroncature preventive degli album di due decadi fa, così come oggi avverto eccessiva accondiscendenza nell'incensare a prescindere lavori buoni, ma non certo fenomenali se opportunamente contestualizzati.
Bad magic rientra appieno in questa categoria, potendo giocarsi ottimi jolly, come Thunder and lightning, The devil (Brian May alla chitarra); Fire storm hotel; When the sky comes looking for you e, a guardare tutti dall'alto, l'introspezione di quella Till the end citata in premessa al post, che assume chiaramente un'intensità ancora più straziante con la dipartita di Lemmy.

Insomma, la santificazione di Lemmy è inarrestabile, ma chi come noi segue la band dalla notte dei tempi sa bene come reagirebbe il buon Kilmster davanti a questo tardivo clamore.
Esatto. Manderebbe tutti affanculo.

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