giovedì 22 marzo 2018

Machine Head, Catharsis

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Tolto uno zoccolo duro di die-hard fans, saldati attorno ai Machine Head anche grazie agli straordinari live act offerti dalla band (l'inizio del tour di quest'anno ha battezzato la media di tre ore di show a serata), buona parte della critica negli ultimi anni ha cominciato ad imputare alla creatura del cantante chitarrista Rob Flynn di aver sviluppato una certa attitudine alla clonatura degli altrui brand musicali (Pantera su tutti).
Con Catharsis, nono titolo di una discografia iniziata nel 1994 col caposaldo Burn my eyes, Flynn pensa bene non solo di assecondare i suoi detrattori più accesi, ma addirittura di rafforzarne gli argomenti a sostegno delle critiche.
Catharsis si candida così al poco appetibile titolo di disco più ruffiano della storia del metal, con "ispirazioni" che spaziano su tutto l'arco costituzionale, dalla destra più becera alla sinistra radicale, senza negarsi anche qualche puntata nei gruppi extraparlamentari. Difficile capire cosa sia passato per la testa al leader dei Machine Head, considerato che, a prescindere dalle critiche di cui sopra, la sua è stata una carriera tutto sommato molto onesta, durante la quale la band si è costruita una solida reputazione tra il pubblico di genere, diversamente non sarebbe resistito a certi livelli per oltre un quarto di secolo.
E' legittimo pensare ad un tentativo in extremis di raggiungere un più ampio successo commerciale (obiettivo a quanto pare raggiunto), tuttavia le modalità scelte lasciano davvero basiti.
In questo moloch da quattordici tracce e settantacinque minuti di durata trovano posto riferimenti di tutti i generi, con composizioni in salsa Pantera (Volatile), nu metal, crossover (Triple beam), Linkin Park (Beyond the pale), ballatone simil grunge (Behind a mask), e finanche pezzi acustici in crescendo propri del combat folk (Bastards).
Il logico risultato di un'operazione di questo tipo dovrebbe essere il lancio del cd dal finestrino dell'auto in corsa, e invece, fatta la tara all'insincerità del lavoro, il mestiere, ahimè, a tratti paga e anche se il disco avrebbe beneficiato di una sforbiciata di almeno venti minuti, qualche melodia in testa rimane incastrata.


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