martedì 6 maggio 2014

Johnny Cash, Out among the stars



Lo affermo sommessamente, ma con convinzione. La storia di Out among the stars ci offre una bella lezione su come, spesso, in campo musicale, le convinzioni della critica, gli orientamenti degli hipster e le fluttuazioni dei gusti siano evanescenti come una finta di corpo di Jonathan.
Se fosse uscito a tempo debito infatti (si parla della prima metà degli ottanta), questo album, nella migliore delle ipotesi, sarebbe caduto nell'indifferenza più abissale che all'epoca circondava Johnny Cash, e nella peggiore sarebbe stato oggetto di scherno da parte dei soliti critici snob.
Invece, ironia della sorte, nell'anno domini 2014, dopo la canonizzazione ufficiale dell'Uomo in Nero seguita ai lavori con Rick Rubin, al film con Phoenix e al florilegio di biografie, questo disco vecchio di trent'anni è diventato uno dei più attesi della stagione discografica.
Non fosse triste sarebbe da ammazzarsi dal ridere.
 
Altro elemento da rilevare è come molti scopritori dell'ultima ora di Cash saltino dalla sua produzione relativa agli anni d'oro (probabilmente coperta da una raccolta di successi) agli American Recordings, ignorando così totalmente la voragine di un periodo artistico, sicuramente meno valido ma comunque interessante, equivalente ad oltre quattro lustri. Anche in questo caso è dolce la vendetta (postuma) di Cash, vista l'attenzione che ora sono tutti costretti a prestare a del materiale considerato di scarto.

A registrare le dodici tracce che compongono la release fu, all'epoca, un artista considerato bollito dalla sua stessa casa discografica, che infatti, da lì a poco (1985) avrebbe risolto il contratto commerciale con l'artista, con tutto quanto ne conseguì per lui in termini di frustrazione e desiderio di rivalsa. Eppure i lavori di quegli anni, riascoltati oggi, tengono bene l'usura del tempo: Silver (1979) appare ancora oggi una produzione eccellente, The baron (1981) lo segue a ruota e Class of 55 (1985, realizzato insieme a Carl Perkins, Roy Orbison e Jerry Lee Lewis) è un eccitante revival rock and roll inciso da chi, più di ogni altro, aveva titolo a farlo.
 
E' in questo contesto che nascono le sessioni di Out among the stars, con uno stile che si allontana dal consolidato boom chicka boom, marchio di fabbrica di Cash, per approcciare ad un mood più tipicamente mainstream country. Dal punto di vista della qualità audio il disco suona limpido e preciso, anche grazie al lavoro di sovraincisione e pulizia compiuto sui masters originali da gente come Marty Stuart (presente anche nelle registrazioni dell'epoca) e Buddy Miller, autentici nomi tutelari del folk USA.
Dal punto di vista prettamente artistico l'opera presenta più di un pezzo che merita di essere ricordato, a partire dalla title-track, che, a dispetto dello spensierato ritmo honky-tonk, riprende le fila dei racconti di quotidiana disperazione che tanto hanno contribuito a costruire su Cash il ruolo di cantore degli ultimi.
L'altro brano che dà assolute garanzie di longevità è She used to love me a lot: in entrambe le versioni in cui è presente, quella originale e quella più crepuscolare (dalle parti dei Wall of Voodoo), remixata da Elvis Costello, è sempre un pezzo emozionante e profondo, che varrebbe già da solo l'acquisto del disco.
Poi ci sono i duetti, due con June Carter, che si inseriscono a pieno titolo nella lunga tradizione canora della coppia (il mio favore va a Baby ride easy), e uno con l'amico nonché icona outlaw Waylon Jennings (I'm movin' on, celebre pezzo di Hank Snow). E ancora la leggerezza nashvilliana di If I told you who it was, il rockabilly di Rock and roll shoes, il lento After all e la chiosa di I came to believe, unico pezzo della raccolta scritto da Johnny.
 
 
L'impressione finale è che Out among the stars sia un lavoro che per il suo orientamento stilistico esalterà gli appassionati di musica country in misura maggiore rispetto ai fan dell'ultima ora dell'Uomo in Nero. Poco male, lo sapete bene che quando si ama visceralmente un artista si preferisce avere attorno pochi autentici adepti rispetto ad essere infastiditi dagli immancabili parvenu musicali di turno.


 


1 commento:

Blackswan ha detto...

Un ottimo disco, altro che scarti, come qualcuno dice. me lo sono gustato e me lo ascolto ancora con molto piacere.