lunedì 22 settembre 2014

U2, Songs of innocence


La premessa potrebbe durare poche righe o dieci cartelle, ma il concetto di base è semplice. Per quale ragione un gruppo (che è stato) seminale come gli U2 si ostina a voler continuare a proporre nuova musica, quando è evidente come, da quindici anni almeno (dico io, che salvo la loro produzione fino a All you can't leave behind compreso), non ne azzecca una che sia una? 
Non rispondete strofinando pollice ed indice a suggerire l'attaccamento al vil denaro: a parte lo stato di milionaria agiatezza già raggiunto, basterebbe un tour mondiale ogni tre anni, anche in assenza di materiale nuovo, anzi proprio per l'assenza della zavorra di materiale nuovo, per sistemare le quindicesime generazioni a venire di Bono e soci.
Anche perchè ormai di dischi se ne vendono talmente pochi che non rappresentano più la primaria fonte di guadagno di un artista, giusto? Sì, cioè no. 
Perchè proprio qui sta la genialata dei quattro: cedere i diritti del nuovo disco per una cifra abnorme (ho letto cento milioni di dollari ma non avevo voglia di sbattermi per cercare conferme) alla Apple, la quale a sua volta lo regala, inserendolo nella famigerata libreria itunes, ai propri utenti. Risultato economico, mediatico e di penetrazione del mercato raggiunti (si parla di quasi quaranta milioni di ascoltatori), ma rapporto con vecchi fans e puristi in picchiata verticale (rischio calcolato: sono la netta minoranza).

Bene. Ma...la musica? Ho voluto evitare la superficialità dei molti che hanno criticato il nuovo album di Springsteen senza nemmeno averlo ascoltato un paio di volte, e pertanto nell'ultima settimana ho messo in buona rotazione Songs of innocence, ricavandone un'impressione sì di mediocrità e futilità artistica unita ad arrangiamenti spesso ridondanti e incomprensibili, ma anche qualche spiraglio di luce. Ci sono sprazzi di cose buone in Every breaking wave che purtroppo si perdono nell'onnipresente e irritante falsetto di Bono, così come in Iris il cuore sobbalza nel sentire quel pattern di chitarra di The Edge, ma anche qui, quando sembra che abbiano azzeccato una melodia ci pensano quei dannati coretti uh-uuh a farti cambiare idea. Il meglio sta nella coda, con l'old style di Raised by wolfes (sull'IRA e il conflitto in Irlanda del Nord),una Cedarwood road che rimanda all' hard rock dei settanta, l'elegante l'elettronica di Sleep like a baby tonight (a ricordarci la produzione di Danger Mouse) e l'inevitabile slow finale The troubles, eseguita da Bono in duetto con Lykke li. 

In conclusione, se si trattasse davvero di un vecchio ed anonimo ellepì, come la spartana scelta della cover suggerisce, esprimerei due voti distinti per ognuna facciata: decisamente insufficiente la prima, più compiuta la seconda. 
Insomma, non siamo dalle parti dell'attesa resurrezione musicale, ma forse il becchino ha smesso, per un attimo, di piantare chiodi sulla cassa degli U2.


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